Con dieci giorni di ritardo, martedì sera contro il senatore M5s si scatena il fuoco simultaneo dei meloniani, che lo accusano di "dietrologia" e "demagogia" per le due parole del 27 gennaio di Accordi&Disaccordi. La replica: "Una manovra diversiva per tentare di distrarre il fuoco dell’attenzione da Delmastro e Donzelli"
“Matteo Messina Denaro ha goduto di alta protezione interna allo Stato ed è stato protetto fino a ora, proprio perché è uno che ha la bomba atomica“. Le parole di Roberto Scarpinato nella puntata del 27 gennaio di Accordi&Disaccordi, il talk politico prodotto da Loft in onda su Nove, innescano una polemica a scoppio (molto) ritardato da parte di alti esponenti di Fratelli d’Italia. Con l’ex pm antimafia che contrattacca e parla di una “manovra diversiva” studiata per distrarre l’attenzione dal caso che coinvolge il sottosegretario Andrea Delmastro e il deputato Giovanni Donzelli, accusati di aver divulgato informazioni sensibili in possesso del ministero della Giustizia sul caso di Alfredo Cospito, l’anarchico in sciopero della fame contro il 41-bis.
Ad aprire il caso martedì – senza apparente motivo, essendo trascorsi già dieci giorni dalla messa in onda del programma – è stato il capogruppo meloniano alla Camera Tommaso Foti: “Affermazioni pesantissime quelle pronunciate da Roberto Scarpinato, ex magistrato e ora senatore dei 5 stelle, nel corso di un dibattito televisivo”, scrive in una nota. E chiama in causa il leader pentastellato Giuseppe Conte: “Vorremmo sapere se anche lui pensa che lo Stato abbia coperto il mafioso per tutto questo tempo e, in caso affermativo, se sia stato dunque complice di tale copertura quando era presidente del Consiglio. Se così non fosse”, attacca Foti, “allora Scarpinato ha soltanto straparlato e il leader dei grillini censuri questa tesi del suo senatore, che offende la memoria di coloro che sono morti combattendo la mafia e di tutti coloro che per 30 anni con grande abnegazione, impegno, sacrificio si sono impegnati per assicurare il boss alla giustizia”.
Quasi in contemporanea escono comunicati simili da parte di altri parlamentari di FdI. Ecco il vice di Foti, Alfredo Antoniozzi: “Il senatore Scarpinato continua a fare il pm d’assalto, quello che ha distribuito teoremi. Dire, dopo essere stato magistrato requirente a Palermo, con certezza che Messina Denaro sarebbe stato protetto dallo Stato per trent’anni senza specificare come, chi e quando è demagogia spicciola, una narrazione dietrologica che serve ad alimentare teorie”. Queste invece le parole di Carolina Varchi, vicesindaca di Palermo, capogruppo in Commissione Giustizia a Montecitorio e nome in pole position per la presidenza della Commissione parlamentare Antimafia: “Considerato che il senatore Scarpinato ha ricoperto per lunghi anni ruoli direttivi in uffici di trincea come la Procura generale di Palermo, le sue dichiarazioni assumono una rilevanza significativa e qualificata che non può essere ignorata. La dietrologia sulla latitanza di Messina Denaro non fa altro che sminuire il lavoro di tutti coloro che sono impegnati sul fronte della lotta alla mafia ed è perciò molto pericolosa“.
Al fuoco di fila dei meloniani, il senatore M5s risponde con un lungo comunicato il mattino successivo: “Gli attacchi simultanei di ieri di vari esponenti di Fdi nei miei confronti sono una manovra diversiva per tentare di distrarre il fuoco dell’attenzione da Delmastro e Donzelli, i quali, per fini di lotta politica, con le loro improvvide rivelazioni al pubblico di notizie interne al circuito carcerario, hanno compromesso indagini su attività occulte di vertici mafiosi per strumentalizzare la vicenda Cospito. Quelle indagini per essere efficaci dovevano restare segrete”, afferma Scarpinato. E nel merito delle accuse sottolinea: “Come risulta da tutte le mie dichiarazioni, ho sempre evidenziato l’impeccabilità delle indagini che hanno portato alla cattura di Messina Denaro. Le mie dichiarazioni sulle complicità che hanno protetto in passato Messina Denaro e altri capi mafia non sono opinioni, ma fatti attestati da sentenze definitive. Tra le tante ricordiamo quella dell’ex senatore D’Alì, già sottosegretario all’Interno, che faceva trasferire onesti funzionari dello Stato scomodi per la mafia, quelle di esponenti delle forze di Polizia interni agli apparati investigativi che rivelarono l’esistenza di microspie e telecamere, ed altre di condanna di esponenti infedeli delle istituzioni che hanno protetto capi della mafia”.
L’ex pm elenca poi quelli che definisce “fatti inoppugnabili, come, ad esempio, la sottrazione dell’agenda rossa e il depistaggio Scarantino che nella metodologia ricordano comportamenti posti in essere in passato per coprire le responsabilità di esecutori e complici di stragi neofasciste, come quelli realizzati da alti vertici di apparati statali per deviare le indagini sulle stragi di Milano, Peteano e Bologna. Tra questi si ricorda il generale Gianadelio Maletti che nel 2022, seppure condannato, è stato celebrato in una sala del Senato da esponenti di vertice di Fdi quale “uomo dello Stato che ha sempre osservato l’appartenenza alla divisa”, come ho ricordato nel mio primo intervento al Senato al presidente Meloni senza ricevere risposta al riguardo. È evidente”, conclude, “che alcuni esponenti di Fdi hanno una concezione dello Stato inconciliabile con quella di tutti i cittadini che si identificano in personaggi come Falcone, Borsellino e in tantissimi esponenti delle istituzioni leali alla Costituzione che sono stati troppe volte traditi e abbandonati da altri fedeli, invece, ad occulti centri di potere”.