La legge sul carcere ostativo – con il decreto legge dello scorso ottobre che aveva tra i principali articoli quelli rave party – è cambiata. Per questo la Corte costituzionale ha rinviato gli atti ai giudici del Tribunale di sorveglianza di Perugia e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino, perché valutino se sono ancora rilevanti le questioni di incostituzionalità che hanno sollevato sulla normativa. La Corte costituzionale ha esaminato oggi, in camera di consiglio, le questioni sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Perugia e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino, sul cosiddetto regime ostativo.

Oggetto della valutazione è l’articolo 4-bis, primo comma, della legge di ordinamento penitenziario, nella parte in cui, in caso di condanna per delitti diversi da quelli di contesto mafioso, ma pur sempre “ostativi”, non consente al detenuto che non abbia utilmente collaborato con la giustizia di essere ammesso alle misure alternative alla detenzione. Si trattava rispettivamente, nei due casi, della richiesta di accedere all’affidamento in prova al servizio sociale e alla semilibertà. In attesa del deposito dell’ordinanza, l’Ufficio comunicazione e stampa fa sapere che la Corte costituzionale ha deciso di restituire gli atti ai giudici a quibus, a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, nella legge 30 dicembre 2022, n. 199, che contiene, fra l’altro, misure urgenti nella materia in esame.

Le nuove disposizioni, infatti, incidono immediatamente sul nucleo essenziale delle questioni sollevate dalle ordinanze di rimessione, trasformando da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità che impedisce la concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione a favore di tutti i condannati per reati cosiddetti “ostativi”, che non hanno collaborato con la giustizia. Costoro sono ora ammessi a chiedere i benefici, sebbene in presenza di nuove, stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo. Le regole del processo costituzionale impongono la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, cui spetta verificare gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate, nonché procedere a una nuova valutazione della loro non manifesta infondatezza.

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