La presenza di Roberto Benigni nella prima serata del Festival di Sanremo 2023 fa discutere. L’attore toscano ha recitato un lungo monologo sulla Costituzione alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, celebrando il testo nell’anno del suo 75esimo anniversario. Un intervento che era stato annunciato a sorpresa da Amadeus durante la conferenza stampa di martedì e che ha subito infiammato il dibattito. In primis è stata infatti l’Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi a chiedere che la Rai rendesse pubblico il compenso percepito da Benigni, quindi è intervenuto il conduttore di Report Sigfrido Ranucci. “Molto toccante il monologo di Roberto Benigni al Festival di Sanremo sui 75 anni della nostra Costituzione – scrive su Facebook il giornalista -. Il maestro Benigni ha sottolineato come il suo articolo preferito sia l’articolo 21: ‘Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure’. Sono certo che per coerenza il maestro nei prossimi giorni ritirerà la querela che nel 2017 ha presentato nei confronti del sottoscritto, del collega Giorgio Mottola, della Rai e di Report”. Il riferimento è alla querela presentata dall’attore e dalla moglie Nicoletta Braschi contro la trasmissione di Rai 3 in seguito alla messa in onda di un’inchiesta sui finanziamenti pubblici allo spettacolo che vedeva coinvolti proprio Benigni e Braschi.
BENIGNI E LA QUERELA A “REPORT” – Era il 2017 e Report raccontava la vicenda degli studi di Papigno, frazione di Terni, dove Benigni ha girato due dei suoi film più amati, La vita è bella e Pinocchio. Il regista voleva trasformare il piccolo paese negli Umbria studios, un polo cinematografico che potesse fare concorrenza anche a Cinecittà. Malgrado gli investimenti pubblici, tra fondi europei, statali e degli enti locali, il progetto non va come sperato e, anzi, si trasforma in un pozzo senza fondo. L’inchiesta del programma di Rai3 parla di un passivo di 5 milioni di euro accumulato da Benigni e Braschi. Nel 2005 Cinecittà Studios, società di Luigi Abete, Aurelio De Laurentiis e Andrea Della Valle, rileva gli studi facendosi carico dei debiti. In seguito alla notizia di querela da parte del regista e attore, Ranucci aveva precisato: “Non abbiamo mai detto che Benigni ha usufruito di finanziamenti pubblici per ristrutturare gli studi di Papigno. I 10 milioni di fondi pubblici, citati dal sindaco di Terni, sono serviti per bonificare e sistemare il contesto intorno all’operazione”. Report, ha proseguito il conduttore, “ha dato conto del fatto che Cinecittà Studios ha di fatto ‘rilevato’ i 5 milioni investiti da Benigni nella società, pur pagandone solo 3,9 milioni, come ha precisato una nota del legale di Benigni che abbiamo letto. Abbiamo poi sostenuto che quel debito rischiamo di pagarlo noi, se dovesse andare in porto la trattativa per riportare Cinecittà sotto l’egida dello Stato”.
IL COMMENTO DI BONIFAZI – Nel dibattito si inserisce Francesco Bonifazi, Membro della Camera dei deputati, che su Twitter scrive: “Qualcuno spiegherà a Ranucci che libertà di informare non equivale alla libertà di diffamare?“.