Le macerie del terremoto che si accumulano sulle macerie dei bombardamenti. Persone che scavano a mani nude perché neppure ci sono i mezzi per estrarre i sopravvissuti. O se ci sono, manca la benzina. Bambini senza nome che ufficialmente non sono mai esistiti e della cui morte ora nessuno è a conoscenza. E per chi è ancora vivo, la consapevolezza di essere isolati e “dimenticati”. Non bastano le parole o le immagini per descrivere la tragedia che vive la Siria, sconvolta da tredici anni di guerra civile e ora colpita dal terremoto più forte degli ultimi 800 anni. Manca tutto: il cibo, l’acqua, le coperte, un tetto dove potersi fermare. Fa freddo e la temperatura sotto lo zero rende quasi impossibile accamparsi all’aperto. Giacomo Pizzi, cooperante della ong Pro Terra Sancta è tra i pochissimi internazionali presenti sul posto. A ilfattoquotidiano.it racconta come stanno affrontando l’emergenza e, dopo il panico delle prime ore, la difficoltà a far arrivare gli aiuti (qui la raccolta fondi). Oggi l’associazione, tramite il portavoce Andrea Avveduto, ha lanciato un appello per chiedere la fine delle sanzioni al Paese: “Le donazioni che abbiamo raccolto ci permettono di far arrivare aiuti a chi necessita di beni di prima assistenza, ma è una piccolissima goccia e non basta. Constatiamo con dolore l’indifferenza della comunità internazionale davanti al dramma di milioni di persone, spesso strumentalizzata per dinamiche estranee alle vicende locali. Chiediamo che vengano – se non fermate – almeno allentate le sanzioni che colpiscono la Siria, e non si facciano distinzioni tra gli sfollati che vivono sotto il regime di Assad o i ribelli“.
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Foto dai villaggi di Knayeh e Yacoubieh, controllati dai ribelli jihadisti vicini ad Al Nusra
Pizzi dove si trova in questo momento?
Sono in viaggio per Latakia. Abbiamo verificato un po’ di situazioni ad Aleppo. E dobbiamo fare lo stesso nelle zone dove le persone sono più isolate. Molti colleghi da Damasco son venuti a darci una mano.
Ci aiuta a capire com’è la situazione?
I primi due giorni subito dopo il sisma sono stati veramente di panico e di reazione all’emergenza. E non è ancora finita. Anche oggi camminavo per le strade di Aleppo e sono passato davanti a un paio di edifici dove si stanno ancora cercando le persone. Qui la difficoltà più grossa è l’indisponibilità di mezzi da parte delle autorità. Si scava a mani nude. Per questo si fa fatica a intervenire per salvare i sopravvissuti.
Qual è la zona più colpita?
Ad Aleppo Est la situazione degli edifici è molto precaria e a rischio di crollo in ogni momento. È stata la zona più bombardata durante il conflitto siriano, è la città martire che abbiamo tutti in mente quando pensiamo alla guerra. Ieri ci sono state delle piccole scosse di assestamento. Niente di preoccupante, però questo ha fatto sì che continuassero comunque a esserci dei crolli. Ora, di fianco alle macerie della guerra, ci sono quelle del terremoto.
I crolli continuano ancora?
Ieri c’era un intero palazzo di persone che era rientrato dopo l’emergenza pensando di essere in sicurezza. Poi invece c’è stata una piccola scossa ed è venuto giù completamente. Lo stesso problema lo abbiamo per le case. E stamattina ho visitato un ospedale, dove durante l’emergenza erano arrivate circa 3-400 persone, che ha subito dei danni: ci si entra normalmente, i medici e gli infermieri possono continuare a fare il loro lavoro, ma c’è una parte che è completamente inagibile. C’è una scala che sta per crollare. Sono tanti i palazzi che sono caduti, ma tanti quelli che rimangono in piedi. Per verificarli ci vorrà tempo.
Il numero delle vittime è in continuo aggiornamento.
La zona di Aleppo Est, che era molto molto povera, ha anche delle vittime che non hanno nome. Che non sono ricordate. Oggi siamo andati a fare un sopralluogo. Lì abbiamo tre centri di accoglienza per orfani o bambini figli di madri stuprate quando la zona era occupata. Ci sono circa un migliaio di bambini che non riescono a ottenere un riconoscimento e non sono mai stati regolarizzati. Sono nati sotto i bombardamenti e ora, alcuni di loro sono morti sotto il terremoto. Per le autorità non esistevano neanche, lo sappiamo noi che ci sono. Era un progetto che avevamo implementato per cercare di migliorare le loro condizioni di vita. Le loro e quelle delle madri che hanno subito questo tipo di violenze, persone ignote e messe ai margini della società. Questi progetti ora dovranno essere messi in pausa, perché è come se fossimo tornati indietro di anni.
Oltre alle vittime, ci sono anche gli sfollati.
Ci sono tante situazioni drammatiche che ancora non conosciamo. Noi abbiamo un centro di accoglienza presso il convento dei francescani nel centro di Aleppo. Stamattina è arrivata una famiglia che cercava dei pannolini e che, pur di dormire all’aperto, ha detto di aver dormito in un cimitero. Era l’unico spazio aperto della zona.
Quante sono le persone senza casa?
Si parla di almeno 30mila sfollati in tutta la Siria. Nei nostri centri al momento ne accogliamo dai 3 ai 4mila. E ci sono altri 126 centri dove ne vengono accolti altrettanti. Sono 4mila persone a cui bisogna dare da mangiare, un posto da dormire. E soprattutto, visto che ci sono meno quattro gradi, bisogna coprirli. Chi può stasera tornerà nella propria casa, per gli altri invece passerà molto tempo prima che rientrino.
Come li aiutate?
La cosa positiva è che noi abbiamo una mensa che era già operativa da due anni. Perché mancava da mangiare già prima. E già prima non c’erano né gas né luce. Abbiamo aperto la mensa perché abbiamo visto che, se davamo solo i pacchi alimentari, la gente non aveva i mezzi per farsi da mangiare. Le persone in Siria, prima del terremoto, si mettevano in fila dalle 5 alle 7 del mattino per avere una razione di pane. Già prima non c’era l’acqua, facendo aumentare il rischio di epidemia di colera.
Il Paese era già in ginocchio.
Non c’è l’elettricità, non c’è il gasolio, la benzina. L’inflazione è altissima. E questo è dovuto a una situazione di sanzioni pesantissime che sono imposte alla Siria. E che non permettono di prendere provvedimenti post bellici. Perché la guerra c’è ancora, ma in parti isolate della Siria. In posti dove si potrebbe ricominciare a costruire non si può perché non c’è la possibilità. Per fare un esempio: quando una persona utilizza un circuito internazionale per fare o ricevere un pagamento e non ha una wpn attivata (una connessione di rete privata ndr) non può farlo. Questo fa capire quanta difficoltà c’è a far arrivare gli aiuti.
La tragedia umanitaria è in corso da anni e abbiamo smesso di parlarne.
In questi giorni è stata commovente la quantità di persone che, vedendo un cooperante internazionale, mi ringraziava per essere lì con loro. Il tema grosso in questo momento in Siria, quando stiamo per entrare nel 13esimo anno dall’inizio della guerra, è che le persone si sentono completamente dimenticate perché nessuno parla più di loro. Il bisogno concreto è al momento veramente basico. Lo era anche prima del terremoto e anche per persone che non erano povere. Senza dimenticare che tutti i lavoratori specializzati, chi poteva dare una marcia in più, sono partiti. Ora per chi è rimasto mancano cibo, acqua, coperte. E poi quando capiremo l’entità dei danni, bisognerà intervenire per la ricostruzione delle case.
*il video è stato girato da Giacomo Pizzi