Milano. In totale sono 22 indagati di cui uno finito in custodia cautelare in carcere, due ai domiciliari e quattro destinatari di obbligo di dimora. Il denaro rientrava in Italia con il sistema degli 'spalloni'
Finti contratti di appalto e subappalto per mascherare mere somministrazioni di manodopera e attraverso cui mettere in piedi un sistematico meccanismo di frode fiscale e contributiva per accumulare denaro su conti correnti esteri in Croazia da riportare in Italia con auto imbottite di contanti. È il settore dell’edilizia ad essere finito nel mirino della Procura di Milano che ha chiesto e ottenuto dal giudice per le indagini preliminari un decreto di sequestro preventivo da 162 milioni e 750mila euro a carico di 22 indagati di cui uno finito in custodia cautelare in carcere, due ai domiciliari e quattro destinatari di obbligo di dimora. A eseguire le misure questa mattina all’alba, insieme a 45 perquisizioni, i carabinieri del Gruppo tutela lavoro e i militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Milano. Sono indagati a vario titolo per associazione per delinquere finalizzata alla indebita compensazione di crediti tributari e previdenziali inesistenti, alla commissione di reati fiscali, alla bancarotta fraudolenta, al riciclaggio e all’autoriciclaggio.
In particolare, le indagini avviate nel 2016 e coordinate dal sostituto procuratore di Milano, Grazia Colacicco, sono partite da un accesso ispettivo in un cantiere edile del pavese eseguito dal Nucleo Ispettorato del Lavoro carabinieri di Pavia. Sono state individuate una serie di società assistite tutte dallo stesso commercialista che, mensilmente, portavano in compensazione i contributi assicurativi e previdenziali relativi ai numerosi lavoratori, vantando dei crediti di imposta inesistenti. Nello specifico gli investigatori dell’Arma e quelli del Nucleo di polizia economico-finanziaria delle Fiamme gialle sono riusciti a ricostruire un’indebita compensazione di debiti previdenziali e assistenziali per almeno 59 milioni di euro, con crediti Iva, Ires ed Irap inesistenti; reati fiscali per altri 58 milioni di euro (dichiarazione infedele, omessa presentazione della dichiarazione Iva, omesso versamento di ritenute e omesso versamento di Iva); una presunta bancarotta fraudolenta, con una distrazione complessiva di quasi 100 milioni di euro e un debito cumulato nei confronti del fisco per 173 milioni di euro. Infine altri 73 milioni di euro di denaro riciclato o autoriciclato dagli indagati.
Il meccanismo si basava su una serie di società Srl create ad arte e intestate a prestanome, prive di qualsiasi operatività pur avendo assunto decine di lavoratori, anche oltre 200 in alcuni casi. Su queste veniva caricata la compensazione degli oneri fiscali e quando l’Erario provava a recuperare quanto dovuto trovava società delle società ‘fantasmà non più aggredibili. Secondo gli inquirenti di Milano erano gli stessi promotori dell’associazione a delinquere che al primo segnale di accertamento fiscale mettevano in liquidazione le aziende. Il trasferimento su base settimanale del denaro, illecitamente accantonato e distratto, avveniva dalle società costituite ad hoc da conti italiani verso conti esteri (soprattutto croati) dai quali poi successivamente attraverso il sistema degli ‘spalloni’ veniva prelevato in contanti e reintrodotto sul territorio nazionale