La faglia Est Anatolica, lunga fra 600 e 700 chilometri, è una delle principali esistenti in Turchia, insieme a quella Nord Anatolica, lunga 1.500 chilometri: "Sono due faglie importanti, ben definite e lungo le quali sono avvenuti terremoti storici importanti" ha detto la sismologa Aybige Akinci, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
Probabilmente uno dei terremoti più violenti degli ultimi secoli e proporzionali le conseguenze con moltissime vittime il cui numero ormai sfiora 20mila, ma anche sulla Terra stessa. Una deformazione, ossia una spaccatura che si estende per 300 chilometri lungo la faglia Est Anatolica, è stata provocata dal terremoto avvenuto il 6 febbraio fra Turchia e Siria. “Le due placche, quella Arabica e quella Anatolica, si sono spostate di tre metri, ma l’energia liberata dalla faglia ha causato una deformazione molto forte lungo 300 chilometri”, ha detto all’Ansa la sismologa Aybige Akinci, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). La deformazione è avvenuta in corrispondenza con il segmento della faglia che si è rotto. “A partire dall’epicentro, l’energia liberata è arrivata a una distanza di 300 chilometri”, ha aggiunto.
La faglia Est Anatolica, lunga fra 600 e 700 chilometri, è una delle principali esistenti in Turchia, insieme a quella Nord Anatolica, lunga 1.500 chilometri: “Sono due faglie importanti, ben definite e lungo le quali sono avvenuti terremoti storici importanti” e nei punti in cui sono avvenuti i due terremoti del febbraio, di magnitudo 7,8 e 7,5, “da oltre mille anni non c’erano terremoti così importanti“, ha osservato l’esperta. “Sono zone nelle quali ci si aspettava che sarebbero avvenuti terremoti, ma se è possibile capire dove potrà avvenire un terremoto, è impossibile prevedere quando avverrà”.
Come informa l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia la regione Anatolica, posizionata lungo la fascia collisionale tra le placche Africana, Arabica ed Euroasiatica, è stata soggetta negli ultimi 35 milioni di anni a complessi e differenti processi tettonici. A partire dal Pliocene inferiore (5 milioni di anni fa), la compressione tra la Placca Arabica e quella Euroasiatica è stata accomodata dalla progressiva estrusione verso ovest del blocco Anatolico lungo due sistemi di faglie denominate in letteratura con i nomi di Faglia Nord-Anatolica e Faglia Anatolica Orientale. Entrambe le strutture si diramano dalla giunzione tripla di Karliova e si sviluppano per parecchie centinaia di chilometri con cinematica trascorrente. Nell’ultimo millennio, entrambe le strutture sono state sede di numerosi terremoti distruttivi. Un recente studio, nato dalla collaborazione dell’Ingv con ricercatori dell’Università di Milano Bicocca e il British Geological Survey, ha analizzato i tassi deformativi crostali misurati sismicamente e geodeticamente al fine di caratterizzare la modalità di accumulo della deformazione lungo le faglie attive del blocco Egeo-Anatolico.
L’idea di base dello studio è stata quella che, in una regione tettonicamente attiva e su un intervallo di tempo generalmente lungo, le deformazioni misurate dalla geodesia siano “compensate” da quelle rilasciate sismicamente. Il rapporto tra i tassi deformativi geodetici e quelli sismici viene definito Seismic Coupling (SC, “accoppiamento sismico” in italiano) e generalmente è espresso in percentuale. Alti valori di SC sono indicativi di regioni ove le deformazioni osservate sono compensate sismicamente (in pratica le due stime sono molto vicine), mentre bassi valori di SC sono indicativi di regioni ove la deformazione misurata è legata a processi deformativi plastici (deformazione anelastica della crosta, attività asismica lungo faglie attive, ecc.) o non è stata ancora compensata sismicamente e pertanto potrebbe essere rilasciata in occasione di futuri terremoti. I risultati da questo studio hanno messo in evidenza che alcuni settori delle Faglie Nord-Anatolica e Anatolica Orientale sono caratterizzati da valori SC medio-bassi. In particolare, questi risultati, confrontati con i cataloghi della sismicità storica e strumentale disponibili per l’area studio, hanno confermato l’ipotesi di possibili gap sismici, ovvero aree caratterizzate da una elevata probabilità di accadimento di forti terremoti. L’area interessata dalla sequenza iniziata il 6 febbraio 2023 alle 2.17 ora italiana con il devastante terremoto di magnitudo 7.9 si colloca lungo una delle regioni caratterizzate da valori SC medio-bassi. Un ampio settore della Turchia centro-orientale, in parte compreso tra le Faglie Nord-Anatolica e Anatolica Orientale è anche caratterizzato da valori bassi di SC. Qui, la mancanza di faglie attive di elevate dimensioni e l’occorrenza di terremoti di moderata magnitudo negli ultimi 400-500 anni, e la presenza di elevati flussi di calore, suggerisce un comportamento in prevalenza asismico, ovvero la crosta si deforma in maniera plastica senza rilasciare energia con importanti eventi sismici. Questa ipotesi è avvalorata dalla presenza di alcuni centri eruttivi, ormai estinti, che indicano una crosta con un regime termico differente rispetto alle aree adiacenti.
Sono stati ottenuti interessanti risultati anche per il blocco Egeo. In particolare, il principale gap sismico individuato si colloca lungo la zona di subduzione ellenica, interessata negli ultimi 2000 anni da due terremoti con magnitudo stimata superiore ad 8. L’approccio utilizzato in questo studio, sebbene ancora caratterizzato da elevate incertezze (ad esempio, differente lunghezza temporale e completezza dei cataloghi sismici storici e strumentali disponibili per l’area studio, errori associati alla stima dei parametri statistici dei cataloghi sismici, incertezza sui dati geodetici e sulla stima dei campi di strain, ecc.), potrebbe fornire indicazioni utili in aree tettonicamente attive, permettendo di individuare zone potenzialmente soggette ad elevata probabilità di eventi sismici importanti, soprattutto se confrontato con la distribuzione spaziale e temporale della sismicità su un intervallo temporale di almeno 1000 anni e con la distribuzione delle faglie attive (e relativa lunghezza) sul territorio .