Era il 1967 ed i Giganti cantavano a Sanremo Proposta, canzone pacifista meglio nota come Mettete dei fori nei vostri cannoni. Era il 1967, il mondo era in piena guerra fredda e c’erano le guerre per procura, di cui la più violenta era quella nel Vietnam, che gli americani stavano perdendo nonostante l’introduzione della leva militare. Erano tempi davvero bui. Si temeva la guerra nucleare – quella mondiale era finita da appena 22 anni con lo sgancio di ben due atomiche sul Giappone- e l’Unione Sovietica gettava un’ombra lunga e terrificante sui paesi dell’Europa occidentale mentre gruppi armati di estrema destra, sinistra o separatisti erano di casa in diverse nazioni. La risposta dei giovani, però, formulata spesso attraverso la musica pop, quella insomma popolare, era pacifista, anti-bellica ed anti-politica.

Era il 1967, vigilia del 1968, quando la contestazione giovanile europea sarebbe scoppiata ed avrebbe contaminando tutto il pianeta sfidando il sistema democratico-capitalista; era il 1967 e la generazione dei baby boomers – si proprio noi, oggi pensionati considerati da molti la generazione dei super-privilegiati – disse chiaramente no alla guerra quale soluzione politica, rifiutando in questo modo di condividere un destino infame che i bisnonni, i nonni e i padri non avevano potuto evitare. Era il 1967 ed in Italia il singolo di Gianni Morandi contro la guerra nel Vietnam C’era un ragazzo che come me amava i Beatles ed i Rolling Stones/Un mondo d’amore era in testa alle classifiche.

Eventi come il Festival di Sanremo, manifestazioni di cultura popolare, ci hanno sempre offerto una finestra sulle nuove generazioni, sui loro sogni ma anche sulla percezione della realtà di chi sta iniziando a vivere da adulto. Ed è per questo che nei passaggi generazionali possono fungere da barometro esistenziale. Nel 1967, i Giganti con i loro capelli lunghi e le liriche anti-violenza ne hanno spostato la lancetta verso il grande cambiamento, la rottura con il passato. Ed è per questo che apparivano ai cosiddetti anziani, genitori e nonni dei baby boomers, come personaggi assurdi, frutto di una contestazione incomprensibile, sintomo di una debolezza generazionale che allora generava rabbia ed allo stesso tempo faceva paura.

Il pacifismo dei baby-boomers cozzava, infatti, strepitosamente contro un lungo passato di violenza politica in Italia ed in altre nazioni del mercato comune. Negli Stati Uniti, paese che nella Costituzione ha inserito il diritto alle armi, diritto ancora oggi considerato sacrosanto, il rifiuto di imbracciare il fucile e di andare ad ammazzare i vietnamiti era altrettanto anacronistico per genitori e nonni, tutti orgogliosi di aver abbattuto a fianco degli alleati la minaccia nazista.

C’è voluto del coraggio ad essere pacifisti in questo contesto, ma solo così si è rotta la spirale della violenza storica che teneva incatenata una generazione dopo l’altra. E dunque noi, i baby-boomers, qualcosa di buono l’abbiamo fatto: non solo siamo i figli dei fiori, siamo anche la prima generazione che non ha combattuto una guerra in casa propria. Abbiamo veramente messo i fiori nei nostri cannoni. Ed a chi contesta che durante la nostra vita di guerre ce ne sono state tante, tutte fuori casa nostra, troppe per procura, guerre finanziate dai nostri governi, io contesto che il nostro pacifismo non aveva gli strumenti per fermare tutte le guerre, né se lo prefiggeva, una generazione non può cambiare la dinamica della storia, ma può promuovere un’alternativa a quella bellica, alternativa che altre generazioni possono sottoscrivere.

Quest’eredità, dunque, non deve e non può andare perduta: è importante che qualcuno la raccolga e continui a promuovere il messaggio pacifista come alternativa a quello bellico, solo così si proteggerà la pace non solo a casa nostra ma dovunque. Nel 1967 i Giganti inneggiavano alla pace, alla comprensione, all’aiuto reciproco; le parole di Morandi simboleggiavano l’empatia dei giovani europei nei confronti dei coetanei americani, terrorizzati davanti alla televisione ascoltando gli anni di nascita chiamati alla leva per andare a combattere nel Viet-Nam. Erano messaggi collettivi, generazionali, universali, condivisi da milioni di bambini nati alla fine della Seconda guerra mondiale. Non c’era in questi messaggi rabbia, odio, risentimento verso la politica, la politica era volutamente ignorata perché considerata marcia, non tanto per corruzione ma per vecchiaia, rifletteva un mondo che stava svanendo.

C’era invece in quelle canzoni di protesta la certezza che il futuro apparteneva ai giovani ed erano i giovani che dovevano crearlo, e rifiutarsi di combattere, di accettare la guerra come strumento politico era parte di questo piano.

Quella che oggi potrebbe apparire indifferenza nei confronti della politica tradizionale era il primo passo verso una rivoluzione politica che avrebbe portato gli Stati Uniti ad abbandonare il Viet-Nam pochi anni dopo ed i partiti socialisti e comunisti europei a partecipare alla gestione dell’Europa occidentale. Un primo, importante passo verso la fine della guerra fredda.

Gli eredi della generazione pacifista non si sono visti a Sanremo. Al contrario, il festival nella città dei fiori non ci ha detto di metterli nei cannoni ma ci ha mostrato uno scorcio sulla giungla digitale in cui i giovani ed in particolare i millennial sono piombati. Costantemente circondati da like e dislike, amore ed odio, in combattimento con i troll, alla ricerca costante di follower, per sopravvivere ed emergere queste generazioni solitarie hanno dovuto interiorizzare l’aggressività. Sia passiva che attiva, l’aggressività è ormai endemica. Così Blanco distrugge i fiori che i Giganti volevano mettere nei cannoni e spiega che l’ha fatto quando per un problema tecnico non ha sentito più la musica ed allora si è detto se non posso cantare almeno mi diverto. Distruzione/divertimento sembra l’antitesi di pace/amore della guerra fredda.

Anche la solitudine è endemica e nel vuoto cibernetico creato dai social media, dai telefonini, dagli iPad, dai computer si scivola senza accorgersene nell’autoreferenzialissimo, terapia di sopravvivenza nel deserto digitale, o si celebra se stesse perché il narcisismo è diventato l’unica ancora della realtà.

In me anziana baby boomer pacifista, ex fricchettona, femminista e ancora anti-sistema lo scorcio generazionale della Sanremo del 2023 non ha prodotto rabbia o paura ma solo tanta pena. Forse per vedere gli eredi della nostra gioventù contestatrice, pacifista e rivoluzionaria bisogna aspettare che sul palco salga la generazione Z, quella degli adolescenti di Extintion Rebellion, i seguaci di Greta Thunberg, ma è probabile che non succederà mai, non sono le manifestazioni popolari come Sanremo il terreno dove questi giovanissimi combattono per un futuro migliore.

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