Un lavoratore dipendente su sei fa straordinari non retribuiti. E circa la metà degli occupati svolge la propria attività in orari “antisociali“: la notte o i weekend. Nello specifico, 3,2 milioni di persone (il 18,6% dei dipendenti) lavorano sia di notte che nei festivi, mentre il 9,1% dei dipendenti è impegnato anche il sabato e i festivi (ma non la notte) e il 19,3% anche la notte (ma non di sabato o festivi). Sono i risultati dell’indagine Inapp Plus (Participation, Labour, Unemployment Survey) dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, che ha coinvolto 45.000 individui dai 18 ai 74 anni. La spiegazione nella maggior parte dei casi (51,2%) è legata a carichi di lavoro eccessivi o carenza di personale, mentre nel 18,4% si fanno quelle scelte per guadagnare di più. C’è poi un 8,1% che dichiara di non potersi rifiutare.
“Spesso la domanda di lavoro richiede disponibilità che confliggono con le esigenze di vita – commenta il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp – È vero che per alcuni settori economici, come il commercio o la sanità, e per alcune professioni, come quelle dei servizi, il lavoro notturno o nei festivi è connaturato alla natura della prestazione, ma è anche vero che questa modalità sembra diffondersi anche dove non è strettamente necessaria. È urgente avviare una seria riflessione sull’organizzazione e articolazione del tempo di lavoro, ma anche sulla sua quantità e distribuzione”.
In più ci sono lavoratori che sperimentano “allo stesso tempo sia un orario ridotto, non per scelta, sia la presenza di orari antisociali”, spiega l’Inapp. Si tratta di circa 900mila dipendenti che, oltre ad avere un part time involontario, svolgono la propria attività la notte o nei festivi (quasi il 52% di chi ha un part time involontario e oltre il 27% sul totale degli occupati part time). Per non dire dei lavoratori autonomi che dipendono dalle esigenze della clientela. “Un modo di lavorare che è particolarmente oneroso soprattutto per coloro che devono far fronte a carichi di cura” e “costituisce uno sfasamento rispetto agli orari diffusi tra la maggioranza della popolazione”.
“Mentre altrove si discute, e si avviano sperimentazioni, di orario ridotto o settimana corta – ha ricordato Fadda – nel nostro Paese restano ancora da superare vecchi modelli di organizzazione del lavoro che incidono pesantemente sui tempi di vita. Il mondo del lavoro è sempre più digitale, veloce, in costante evoluzione, ma per gran parte dei lavoratori “tradizionali” si presentano problemi ancora irrisolti sul piano della distribuzione degli orari di lavoro. La permanenza di usi e abitudini del passato prevale spesso sulla capacità di trovare soluzioni organizzative equilibrate, sia in termini di turnazione ove necessario, sia in termini di alleggerimento del peso dei vincoli di orario in generale, che consentano un bilanciamento sostenibile tra vita di lavoro e vita privata-sociale nella prospettiva del “lavoro dignitoso””.