Il suo è un cinema formalmente libero che affonda nella memoria e che prova senza esibizioni sopra le righe di scavare sotto ai piedi della cultura dittatoriale oramai in via di disfacimento
Addio al regista Carlos Saura. Il Novecento cinematografico spagnolo si chiude definitivamente dopo l’annuncio della morte a 91 anni, nella sua casa di Madrid, di uno dei più prolifici, classici ed impegnati cineasti vissuti (e sopravvissuti) alla lunga dittatura franchista. “Cinquanta film, un Orso d’Oro a Berlino, un Premio della Giuria a Cannes, due Goya, qualche romanzo, migliaia di fotografie, sette figli, quattro matrimoni…”, lo ha ricordato in apertura il sito di El Mundo, specificando che quando il regista Félix Viscarret volle raccontare Saura in un documentario lo dovette intitolare Saura(s), al plurale. Carlos Saura nacque a Huesca, il 4 gennaio del 32. Aragonese come il pittore Francisco Goya (a cui dedicò un film nel 1999) e al collega Luis Buñuel, frequentò l’Instituto de Investigaciones y Experiencias Cinematográficas di Madrid dove nei primi anni cinquanta divenne regista. Nel 1965 con La Caccia gira forse il suo film più teso, intenso e politico dell’intera carriera, un’opera vagamente bunueliana, resa dei conti a tre, tra ex soldati franchisti riuniti vent’anni dopo per una battuta di caccia al coniglio. Saura si afferma subito nei circuiti d’essai vincendo un Orso d’Argento a Berlino. Nel 1968 il suo Frappè alla menta, primo titolo di un lungo sodalizio artistico con Geraldine Chaplin, figlia del grande Charlie, viene da lui ritirato dal Concorso di Cannes in piena furia da maggio del 1968 con Truffaut e Godard che invitano alle barricate. Frappè alla menta, peraltro, dedicato all’amico Bunuel, vede la Chaplin interpretare due donne in scena, come più avanti accadrà anche in Quell’oscuro oggetto del desiderio.
A Cannes nel nel 1973 Saura vince il premio della giuria per La cugina Angelica, un film che si tuffa nel passato del franchismo e degli anni della guerra civile che provoca parecchi disordini in patria, tra cui il sabotaggio di una proiezione in un cinema di Barcellona con le bobine portate fuori a forza dalla cabina di proiezione e gettate nel pattume. Nel 1976 Saura ancora a Cannes (era un habitué da Concorso tra ‘69 e ’77) vincerà il Premio Speciale per la Giuria per Cria Cuervos, allegoria dagli echi bellocchiani che vede protagonista una bimba di otto anni. Il suo è un cinema formalmente libero che affonda nella memoria e che prova senza esibizioni sopra le righe di scavare sotto ai piedi della cultura dittatoriale oramai in via di disfacimento. Nel 1981 con Deprisa, deprisa (Sbrigati, sbrigati) vince l’Orso d’oro a Berlino. Infine tra gli anni ottanta e novanta le sue opere vengono consacrate come marchio autoriale e vengono distribuiti nei circuiti d’essai. In particolar modo con Ay Carmela (1990) grazie alla penna di Rafael Azcona torna ad ambientare un film negli anni trenta ritraendo una compagnia di guitti del varietà graziati dal regime (notevole è anche l’apporto di Carmen Maura, anche senza Almodovar) e Tango (1998). Il prossimo sabato avrebbe dovuto ritirare un premio Goya alla carriera. Ricordando proprio Cria Cuervos, recentemente restaurato Saura aveva dichiarato al Guardian: “Franco ha impiegato così tanto tempo a morire che tutti abbiamo avuto il tempo di comprare lo champagne e conservarlo in frigorifero. Quando alla fine è morto si sentivano i tappi che si staccavano”