Lavoro & Precari

Morto sul lavoro a 26 anni, archiviato il titolare che non ha verbalizzato cosa sia successo. “La colpa attribuita alla vittima”

Andrea Soligo, installatore di impianti elettrici, è caduto da una scala nella sede di un'altra azienda dove aveva accompagnato il proprietario della sua società. Il gip ha firmato un decreto di archiviazione perché non è chiaro se abbia continuato a lavorare da solo “per iniziativa autonoma”. La vedova scrive a Mattarella: "Inaccettabile. Se il titolare avesse tenuto la scala sarebbe ancora vivo"

Tre pubblici ministeri, una scala e un operaio di 26 anni morto in un incidente sul lavoro. È in apparenza una vicenda minima, quella accaduta in un’azienda di Tezze sul Brenta un anno fa, con la conseguente inchiesta giudiziaria. In realtà raccoglie un grande dramma umano che ha spinto Giorgia Gatto, vedova di Andrea Soligo e madre di due bambini di tre e cinque anni, a rivolgersi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al ministro della giustizia Carlo Nordio. “Andrea il 5 gennaio 2022 ci ha salutati per andare a lavorare e non è più tornato da noi. Sono qui in preda ad una disperazione lancinante e con le lacrime agli occhi scrivo a Lei, che vedo come il padre di tutti noi, quale mia ultima speranza di giustizia. Lo faccio perché lo devo a mio marito e ai nostri bambini”. Giorgia confessa al presidente un dubbio atroce: “Non conosco il diritto, eppure dai documenti che mi hanno consegnato i miei avvocati ho l’impressione che i giudici non vogliano andare a fondo nella ricerca delle responsabilità”.

La ricostruzione è stata ripetuta in una conferenza stampa nello studio dei legali Renato Capraro e Marco Bonazzi di Treviso. Andrea abitava a Vedelago con la famiglia. Era un installatore di impianti elettrici per la Veneta Impianti di Riese Pio X. Quel giorno si era recato, assieme al titolare Luciano Giacomelli presso la ditta Fen Impianti, con sede operativa a Tezze sul Brenta, di proprietà del bolognese Benedetto Umberto Selvatico Estense. Dovendo sistemare alcune lampade, doveva raggiungere il sottotetto, passando attraverso una botola. “Gli è stata data una scala da un dipendente della ditta Fen Impianti che era all’interno dello stabile. Ha iniziato a manovrare la scala sotto la botola alla presenza del titolare. Quest’ultimo è uscito dalla stanza per prendere un faro e ha lasciato Andrea da solo. Fatti pochissimi passi, Giacomelli ha sentito un forte rumore, è tornato indietro e ha trovato Andrea a terra, immobile in una pozza di sangue e con i piedi ancora incastrati nella scala”. Così scrive la vedova a Mattarella.

Giacomelli e Selvatico Estense sono stati indagati. Il primo perché avrebbe dovuto provvedere alla sicurezza del proprio dipendente, mentre era uscito dalla stanza, come aveva dichiarato subito agli ispettori dello Spisal, che però non avevano verbalizzato. In un secondo tempo si è avvalso della facoltà di non rispondere e così nessuno può spiegare che cosa sia accaduto. Selvatico Estense, invece, è stato tirato in ballo a causa della scala non regolamentare per accedere alla botola. Si trattava, infatti, del terzo elemento di una scala estensibile ed estraibile, messa a disposizione a causa della mancanza della scala regolamentare.

Ad occuparsi degli accertamenti sono stati addirittura tre sostituti procuratori di Vicenza. Dopo un anno, la doccia fredda. Il pm Paolo Fietta ha chiesto l’archiviazione perché “gli elementi raccolti non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio, posto che non può affermarsi al di là di ogni ragionevole dubbio una responsabilità o corresponsabilità dell’indagato nella determinazione dell’evento”. In una parola, siccome il titolare di Soligo non ha messo a verbale la sua versione, “le indagini Spisal non hanno potuto dissipare i dubbi sull’effettiva dinamica dell’incidente”, al punto da non escludere che il poveretto abbia compiuto “una manovra imprudente e mortale”. Il gip Nicolò Gianesini ha firmato un decreto di archiviazione, ritenendo che non è stato spiegato come e perché la scala sia caduta, se per mancanza di attrito con il pavimento o per una variazione dell’angolo di posizionamento. Non sapendo se l’operaio abbia continuato a lavorare da solo “per iniziativa autonoma” o se il suo datore di lavoro si sia allontanato mentre Andrea era già sulla scala, le accuse sono cadute.

“Ma come può essere possibile una cosa del genere? Mio marito è morto e nessuno ha preso le dichiarazioni del titolare perché era emotivamente provato? È inaccettabile per qualsiasi persona di buon senso. Gli agenti dello Spisal scrivono che il titolare era consapevole che Andrea doveva salire nel sottotetto… se la scala fosse stata tenuta con il piede dal titolare, Andrea sarebbe ancora vivo” scrive la vedova. “Quando ho letto le motivazioni mi sono venuti i brividi. Mai lo Spisal nella sua relazione ha prospettato una colpa di Andrea. Questa archiviazione è stata un colpo al cuore, arrivata nel periodo del Natale, dove la mancanza di mio marito e del papà straordinario dei miei figli pesa ancor di più degli altri giorni”. L’appello è accorato. “Avevamo una vita da trascorrere insieme, non so come faremo ad andare avanti. Io non voglio a tutti i costi che qualcuno venga condannato, ma almeno avrei voluto un processo, una perizia, indagini per appurare le vere cause della morte di Andrea, affinché infortuni del genere non accadano mai più. La prego, Presidente, mi aiuti a trovare la verità”.

“Non ci è mai accaduto un caso simile. – hanno spiegato gli avvocati Capraro e Bonazzi – Non è stato prodotto un piano sicurezza, è stata utilizzata una scala non a norma, il datore di lavoro non ha voluto mettere a verbale che cosa è accaduto e incredibilmente la colpa sembra essere della vittima. Rimangono una vedova e due orfani senza neppure il risarcimento del danno”.