Il ministro torna a parlare a ruota libera e partorisce un'altra uscita destinata a far discutere: parlando alle Camere penali loda la professione forense per la "nobiltà" di "difendere sempre il debole". Che però, precisa, "non è solo il diseredato, il povero e l’emarginato", ma soprattutto i ricchi e i potenti, che, ricorda "tremavano come foglie e non dormivano da giorni perché avevano molto da perdere". E annuncia: "Modificheremo la legge sull'improcedibilità"
“L’imputato è sempre debole davanti al magistrato inquirente. Ma paradossalmente le persone più potenti sono quelle più intimorite davanti al magistrato”. Dopo qualche settimana di silenzio imposto, Carlo Nordio torna a parlare a ruota libera. E partorisce un’altra uscita destinata a far discutere: in un videomessaggio inviato all’Unione delle Camere penali (il “sindacato” degli avvocati penalisti) per la loro cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, si lancia in una lode della professione forense, la cui “nobiltà”, afferma, consiste nel fatto di “difendere sempre il debole”. Che però, precisa, “non è solo il diseredato, il povero e l’emarginato“. Secondo il ministro della Giustizia, infatti, i veri “deboli” sono i colletti bianchi: “L’ho visto in quarant’anni di lavoro come pm”, argomenta. “Imputati di reati gravi con un certificato penale abbastanza ricco nemmeno si presentavano all’interrogatorio, mentre imputati ricchi e potenti tremavano come foglie e non dormivano da giorni perché avevano molto da perdere davanti al magistrato”. Insomma, i più bisognosi di tutela per Nordio non sono quelli che non hanno mezzi per difendersi, ma quelli che ne hanno in abbondanza.
Quasi come conseguenza logica, il Guardasigilli torna a squadernare i suoi piani di controriforma della giustizia. E fa un nuovo annuncio: “Modificheremo la legge sulla prescrizione che ha introdotto l’improcedibilità“. Cioè la riforma della sua predecessora Marta Cartabia, che manderà in fumo i giudizi di Appello dopo due anni e quelli di Cassazione dopo uno. L’obiettivo di Nordio, però, non è certo quello di allungare la sopravvivenza dei processi, bensì di accorciarla ancora di più. A fine dicembre, infatti, il centrodestra ha votato compatto un ordine del giorno di Azione-Italia viva che chiedeva di cancellare il blocco della prescrizione sostanziale (cioè quella del reato, non del processo) dopo la sentenza di primo grado, introdotto dalla legge Spazzacorrotti dell’ex ministro Alfonso Bonafede.
La riforma ottenne il plauso di Bruxelles, che la definita “benvenuta perché “in linea con una raccomandazione specifica per il Paese formulata da tempo”. E infatti tre anni prima la stessa Commissione europea, nel rapporto semestrale dedicato ai Paesi dell’Eurozona, denunciava che in Italia “il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione”, perché “incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati” e il risultato è che “un’alta percentuale di cause” si estingue “dopo la condanna di primo grado”. Cosa significa la mossa di fine dicembre? Che se oggi in Appello e Cassazione la prescrizione del reato è bloccata (ma corre solo quella processuale) domani si vorrebbe tornare all’antico, cioè alla ghigliottina temporale che non si interrompe mai. Cancellando la riforma Bonafede e l’improcedibilità, infatti, l’effetto sarebbe il ritorno alla legge ex Cirielli, approvata sotto i governi Berlusconi per allungare i termini di prescrizione. La riforma Cartabia, secondo il ministro, non era abbastanza: “Andava nella giusta direzione, ma con una serie di limitazioni dovute all’eterogeneità e alla debolezza della coalizione che la sosteneva”, dice.
Davanti ai penalisti Nordio affronta anche il tema della separazione delle carriere tra pm e giudici: “Come sapete fa parte del nostro programma, speriamo di poterlo trattare con animo pacato da tutte le parti, senza pregiudizi ideologici e senza nessun tipo di competitività con l’accademia, la magistratura e con voi”. Poi fa una serie di affermazioni di principio che chiariscono una volta di più le sue priorità: “La nostra concezione del diritto penale”, dice, consiste nel “non lasciare impunito il delitto e non condannare l’innocente, ma anche non sottoporre l’innocente a un processo inutile, lungo e costoso. La pena deve essere certa, inflitta rapidamente ma soprattutto deve essere equilibrata. Il primo giudice su equità della pena è il condannato: se il giudice è troppo severo lo odia, se è troppo indulgente lo disprezza, se invece lo ritiene equo lo onora o accetta la pena”. E anticipa: “Il programma che ho enunciato alle Camere, e che coincide in gran parte con le vostre proposte, è già in fase di elaborazione. Non sono in grado né potrei anticipare nel merito determinati disegni di legge, perché sarebbe irriverente, ma vi assicuro che quanto ho esposto sarà oggetto delle nostre prossime iniziative. Il nostro è un governo solido, la maggioranza è compatta, si profila una durata fisiologica e penso che le riforme saranno attuate nei tempi compatibili con il loro contenuto”, conclude. I “ricchi e potenti” possono iniziare a brindare.