“Siamo qui per Saman e per tutte le altre“. Nel giorno della prima udienza per il femminicidio di Saman Abbas, in tribunale si sono presentate anche le attiviste che si battono contro i matrimoni forzati e la violenza di genere. “Questa Regione ha un sommerso alto, qualcosa che si vede solo quando esplode. Non è più possibile e le donne, le femministe e le attiviste, devono prendersene carico”, ha detto Tiziana Dal Pra, presidente onoraria di Trama di Terre, associazione di donne native e migranti impegnata dal 1997 sul territorio per accogliere e sostenere ragazze che si ribellano alle nozze forzate. Rispetto alla morte di Hina Saleem a Brescia nel 2006, “sta cambiando qualcosa”, ha detto Dal Pra. Quasi vent’anni fa, al processo per l’uccisione della ragazza pakistana, non c’era quasi nessuna. “Io c’ero”, continua Dal Pra. “E con me c’erano donne portate lì dalla destra. Una giornalista mi chiese se non ero in imbarazzo a essere lì. Risposi che mi sentivo malissimo, ma perché non c’era nessuna di noi”. Oggi le cose sono cambiate: davanti al tribunale c’è stato un presidio di Trama di Terre, Nondasola, Non una di meno, Differenza donna. Ma, aggiunge Dal Pra, “la grande assente è ancora la politica. Non abbiamo un comunicato della politica su oggi, non abbiamo una presa in carico. Abbiamo la politica che ha paura”. Ma “alla politica e allo Stato chiediamo protezione, che ci guardino. Non che abbiano paura loro. Rispondete”. “Siamo qua per Saman Abbas e per tutte le donne che non hanno voce”, ha aggiunto l’avvocata Giovanna Fava rappresentante di Nondasola. “Siamo qua per dare voce alle giovani che hanno subito mutilazione del pensiero. Siamo qui per Saman, tutte le altre e tutte quelle che ci sono”, ha chiuso Dal Pra. Tra le attiviste anche Marwa Mahmoud, consigliera comunale a Reggio Emilia: “Stamattina era presenta una nostra delegazione di consiglieri e le sindache di Novellara e Guastalla per dire che ci siamo e presidiamo il processo. Perché l’Emilia Romagna è anche una terra di libertà. E se fino a ora c’è stato un timore di esporsi, per timore di essere tacciati di razzismo e perché si è peccato troppo spesso di relativismo culturale, ora bisogna prendere in mano la situazione. E rispetto al passato c’è una nuova generazione di persone che possono essere costruttori di ponti”.