Archiviata la débacle su accise e prezzo dei carburanti, che ha definitivamente chiuso la luna di miele con gli elettori, Giorgia Meloni prosegue sulla strada della Realpolitik rispetto agli impegni presi con la Ue. In perfetto accordo con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che dalla linea draghiana si è del resto di rado discostato. La dimostrazione plastica è il suo “atto di indirizzo” con le priorità politiche per il 2023, datato 26 gennaio e pubblicato sul sito del Tesoro. Altro che flat tax per tutti, pace fiscale e appelli alla privacy dei contribuenti contro il “Grande fratello” reo di monitorare la giacenza dei loro conti correnti: il capitolo dedicato al sistema fiscale è una summa delle ricette consigliate dagli esperti di contrasto all’evasione e recepite nel Pnrr e non lascia alcuno spazio alle promesse elettorali del centrodestra. Come del resto conferma Meloni nell’intervista al Sole 24 Ore, in cui non fa mai cenno a tasse piatte né tantomeno a vecchie suggestioni come l’abolizione dell’obbligo di accettare pagamenti elettronici, che era nel programma di FdI ma su cui il governo è stato costretto a una clamorosa marcia indietro. E nel tentare di provare la presunta discontinuità rispetto a Draghi cita solo lo stop al reddito di cittadinanza e “passi decisi sull’indipendenza energetica con lo sblocco per la produzione di gas nazionale”.

Sotto il titoletto “priorità 4” si legge, tra il resto, che occorre “incentivare la tax compliance (adesione spontanea agli obblighi fiscali, ndr) con i contribuenti, quale efficace strumento del contrasto all’evasione ed elusione fiscale”. Ma soprattutto che la riduzione del tax gap, cioè la distanza tra le imposte dovute e quelle effettivamente pagate, va ridotta sia attraverso “l’invio delle comunicazioni ai contribuenti e la dichiarazione precompilata Iva” sia con il “potenziamento dell’attività di controllo, sfruttando pienamente le nuove tecnologie e gli strumenti di data analysis più avanzati, in modo da favorire l’acquisizione di informazioni rilevanti per effettuare controlli mirati con una migliore selezione preventiva delle posizioni da sottoporre a controllo”. Il riferimento è all’incrocio dei dati delle dichiarazioni dei redditi con quelli dell’Archivio dei rapporti finanziari e delle fatture elettroniche, finalmente consentito dopo il sospirato via libera arrivato dal Garante privacy la scorsa estate.

La card postata da Giorgia Meloni sui social nel novembre 2018

Che Giorgetti lo abbia inserito tra le priorità non deve stupire, dato che secondo l’amministrazione finanziaria è l’unico modo per raggiungere gli ambiziosi obiettivi del Recovery plan in materia di contenimento dell’evasione. Ma resta il fatto che a fine 2018, quando il governo Conte in legge di Bilancio provò ad aggirare i paletti dell’authority e consentì anche alla Finanza l’accesso all’anagrafe dei conti, Meloni commentò che si trattava di “Grande fratello fiscale sotto il nome di “anagrafe dei conti correnti bancari”” e arrivò ad avvertire: “Lo Stato guardone saprà in tempo reale cosa compra e cosa fa ogni singolo cittadino con i suoi soldi, che film vede al cinema, se va al ristorante o in pizzeria”.

Intemperanze del passato. Ora si cambia: ben venga lo Stato diventa “guardone”. Non a caso la Meloni nell’intervista al Sole ricorda che “le agenzie fiscali con tutte le banche dati che hanno a disposizione possono tranquillamente stimare il reddito delle imprese”. E ben venga, scrive Giorgetti, se anche le Fiamme Gialle, come previsto del resto nel Piano integrato di attività presentato anch’esso a fine gennaio, elaboreranno “analisi di rischio congiunte con l’Agenzia delle entrate, tanto per finalità strategiche di monitoraggio dei fenomeni evasivi, quanto per la predisposizione di piani di intervento integrati”.

Segue il proposito di rafforzare “l’efficacia della riscossione anche nell’ambito della fiscalità degli enti territoriali”, cosa che in apparenza cozza con il condono appena apparecchiato dal governo. Ma va ricordato che l’esecutivo deve ora varare la delega fiscale e l’attesa riforma dei meccanismi di effettivo incasso del dovuto, che Draghi aveva promesso dopo il suo condono sulle cartelle sotto i 1000 euro e mai realizzato. In qualche modo bisogna intervenire: una recente delibera della Corte dei Conti ha rilevato che il “calo di non lieve entità dell’attività coattiva” negli ultimi cinque anni “minaccia il carattere deterrente del sistema, indispensabile per il buon andamento dei conti pubblici”.

Quanto al sistema fiscale in sé, il ministro si guarda bene dal confermare i progressivi allargamenti della tassa piatta che la Lega aveva promesso in campagna elettorale: il documento si limita a prospettare una “revisione della tassazione tramite riduzione graduale delle aliquote” – l’intenzione dichiarata dal viceministro Maurizio Leo, che ha la delega al fisco, è quella di scendere da quattro a tre scaglioni Irpef – affiancata dal solito e mai realizzato “riordino delle tax expenditures” (agevolazioni fiscali) oltre che da una cauta “valutazione della revisione dell’imposizione sul reddito di impresa e dei redditi finanziari” tramite “razionalizzazione dell’IVA e delle accise” (la promessa di abolirle con tutta evidenza è stata superata) e “graduale superamento dell’Irap”.

Stride con le affermazioni pubbliche di molti esponenti dell’esecutivo, infine, anche l’intenzione di rivedere la cosiddetta tassazione ambientale “mediante la rimozione e rimodulazione di sussidi fiscali dannosi azionando le leve necessarie per orientare le scelte di consumo e di produzione verso modelli ecosostenibili”. Il ministro Matteo Salvini lo scorso dicembre ha orgogliosamente confermato gli sconti sul gasolio per l’autotrasporto, che sono appunto un “sussidio ambientalmente dannoso”, e il decreto Aiuti quater nel dare il via libera al rilascio di nuove concessioni per la ricerca di idrocarburi tra le 9 e le 12 miglia dalla costa non ha aumentato le royalty a carico delle compagnie.

Ora si cambia, o almeno così promette Giorgetti. I cui unici strappi, d’accordo con Meloni, sono stati la rimozione del direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera e la sostituzione dei vertici delle Dogane. Alle Entrate resta Ernesto Maria Ruffini, nel segno della continuità. La controprova verrà dalla delega fiscale, in cui Leo intende recuperare lo scudo penale per gli evasori depennato dalla manovra per decisione della premier e del ministro. Passerà?

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