Il leader di Italia Viva - assistito dagli avvocati Lorenzo Pellegrini, Massimo Cesaroni e Niccolò Seghi - è intervenuto personalmente durante l'udienza per difendere le sue ragioni e aveva chiesto un risarcimento di 435.000 euro. Ma per il giudice si trattò di critica politica
Nel 2019 lo chef Gianfranco Vissani, come altre persone, fu querelato dall’ex segretario del Pd Matteo Renzi perché lo aveva accostato ad Adolf Hitler definendolo “distruttore del Pd”. Oggi il giudice del Tribunale civile di Firenze, Susanna Zanda, ha stabilito che Vissani non ha diffamato l’ex premier e quindi non è tenuto al risarcimento dei danni. Il leader di Italia Viva, assistito dagli avvocati Lorenzo Pellegrini, Massimo Cesaroni e Niccolò Seghi, è intervenuto personalmente durante l’udienza per difendere le sue ragioni, mentre era assente Vissani. Renzi aveva chiesto un risarcimento di 435.000 euro.
I fatti risalgono al 29 marzo 2018 quando lo chef, difeso dalle avvocate Cinzia Ammirati e Roberta Arditi, intervenendo nella trasmissione televisiva “Quinta Colonna” su Rete 4, condotta dal giornalista Paolo Del Debbio, si espresse sui risultati delle elezioni politiche del 4 marzo precedente, che avevano registrato un vistoso calo dei consensi del Pd, di cui Renzi era segretario, passando dal 40% circa delle elezioni europee al 19% circa dei consensi. Alla domanda “Perché, secondo lei, Renzi è finito?”, la risposta di Vissani fu: “Non è che è finito, solamente ha fatto peggio di Hitler. Peggio di Hitler non l’ha fatto nessuno, lui l’ha fatto!”. Subito dopo i commenti dello studio sull’accostamento con Hitler, lo chef aggiunse: “Come no? Ha distrutto un partito, l’ha portato a meno del 19%“. Per la giudice non c’è stata diffamazione, come reclamava Renzi, perché si è trattato di una critica politica espressa da Gianfranco Vissani “con toni forti e pungenti”.
“L’accostamento della distruzione del partito democratico che dal 40% passa a meno del 19% alla figura di Hitler, a sua volta distruttore di un popolo di sei milioni di ebrei, per quanto forte e trasmodante – si legge nella sentenza – appare comunque agganciata a quel determinato fatto storico eccezionale delle elezioni 2018, che esprime un’emorragia di consenso come non si era visto da molti anni; l’opinione dello chef/opinionista, chiamato spesso nei salotti televisivi, che aveva richiamato il massimo distruttore ossia Hitler, non era idonea per il suo intero contenuto, a danneggiare la reputazione di Renzi, perché era stato spiegato contestualmente dal Vissani il senso dell’accostamento ad Hitler in termini di eclatante strage di voti e non di esseri umani”.
Nella sentenza si legge anche: “L’accostamento ad Hitler era chiaramente riferito alla grave perdita dei consensi del partito democratico guidato da Renzi e dunque ad un suo ritenuto ruolo di ‘distruttore’ latamente inteso e accostato alla figura di Hitler. Siamo quindi in presenza di una critica politica, espressa con toni forti e pungenti, e certamente alla luce delle complete dichiarazioni del Vissani in quel contesto, nessun ascoltatore di media diligenza sarebbe stato indotto a cogliere in quell’accostamento la parificazione di Matteo Renzi all’Hitler sterminatore del popolo ebreo; la forma espressiva è stata esagerata e sarebbe anche incontinente se si fosse limitata ad essere una mera critica politica; il fatto è però che non era una mera critica politica perché il Vissani non era né un avversario politico di Renzi, tenuto alla continenza espressiva, né un cittadino qualunque. Il Vissani era stato intervistato come ‘opinionista’ e dove dunque viene in gioco l’interesse pubblico a sentire anche la specifica opinione dell’intervistato nella sua interpretazione di quel fatto, riguardante il partito diretto da Matteo Renzi”.