L'uomo sospettato di essere l'autore dei due delitti, Salvatore La Motta, si è ucciso vicino a una caserma dei carabinieri: il 63enne era "detenuto in semilibertà che stava usufruendo di una licenza premio" e sarebbe dovuto rientrare oggi nel carcere di Augusta. Era stato condannato nel 2000 per associazione mafiosa e omicidio. Le due vittime sono Carmelina Marino e Santa Castorina
Condannato all’ergastolo per associazione mafiosa e un omicidio, ha approfittato di una licenza premio per compiere un duplice femminicidio. Poi, braccato dai carabinieri, si è presentato in caserma e si è suicidato. Ha fatto tutto in poche ore, Salvatore La Motta, ritenuto esponente di spicco del clan mafioso Santapaola detenuto in regime di semilibertà, quindi con il permesso di lavorare di giorno e l’obbligo di rientrare in carcere a sera. Nelle ultime ore di un permesso premio di una settimana, ha compiuto un duplice omicidio uccidendo prima Carmelina Marino, 48 anni e con la quale si sospetta avesse una relazione extraconiugale, ritrovata in un’automobile sul lungomare Pantano di Riposto, comune a 30 chilometri da Catania, quindi ha ucciso Santa Castorina in una zona vicina.
La Motta – fratello di Benedetto, considerato il referente dei Santapaola-Ercolano – era stato condannato per associazione mafiosa e per un omicidio: era stato arrestato il 16 giugno 2000, otto giorni dopo la condanna all’ergastolo dalla terza sezione della Corte d’assise d’appello. Era stato riconosciuto colpevole di essere uno dei componenti del gruppo di fuoco che il 4 gennaio 1992 davanti a un bar del paese uccise Leonardo Campo, di 69 anni, ritenuto dagli investigatori uno dei capi storici della malavita di Giarre. Nel giugno del 1999 era stato tra i destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 71 presunti appartenenti alla cosca mafiosa Santapaola che opera tra i comuni di Fiumefreddo di Sicilia e Giarre.
Dopo il duplice omicidio, La Motta si è presentato intorno a mezzogiorno all’esterno della caserma, armato con una rivoltella – la stessa arma che gli inquirenti ritengono sia stata usata per assassinare le due donne – dicendo: “Mi voglio costituire”. I militari dell’Arma, “tenendolo sotto tiro, hanno cercato di convincerlo” a lasciare la pistola, ha raccontato il comandante dei carabinieri Claudio Papagno, e “non fare alcun tipo di gesto insensato”. Ma “il loro tentativo è stato vano: La Motta si è puntato l’arma alla testa e ha fatto fuoco”.