Se una donna arriva lì e può essere trattata come un elemento bizzarro con tatuaggi strani, le tettine disegnate, le domandine graffianti ma ricordati, i padroni di casa siamo noi, noi ti diciamo quando puoi fare le scale perché “che scale grandi che hai, è per guardarti meglio!”, la grande macchina è più contenta. Chiara Francini alla fine era fuori posto perché quello era il suo posto, in un luogo in cui da anni si chiede a inesperte di misurarsi con due delle esperienze artistiche più complicate del mondo
Da scaletta doveva arrivare a mezzanotte e trentanove e invece il monologo di Chiara Francini ha avuto il suo spazietto misero per panettieri, insonni e netturbini che erano quasi le due di notte. Cosa l’abbia fatto slittare tanto non si sa, ma di sicuro l’orario tardo in cui era già fissato prima dello slittamento lasciava intendere un disegno immaginabile. Ad immaginazione, un dialogo tra autori nei giorni scorsi: “Ferragni la piazziamo presto, oh è la Ferragni. Fagnani pure lei la piazziamo presto, oh, se la mettiamo tardi quella si incazza e ci ritroviamo a fare gli autori a TeleTevere l’anno prossimo. Egonu la facciamo entrare presto che qui c’è tutta la polemica sul razzismo, la gente l’aspetta. Francini? Che ce famo con la Francini? Boh, sto monologo è una palla, una roba de teatro, mettila a notte fonda”. Ecco, più o meno deve essere andata così. E non conta il fatto che Chiara Francini sia una professionista, anzi. Quello casomai era un elemento di disturbo. Perché diciamolo: se una donna là sopra, su quel palco per maschi, è un po’ impacciata, fuori posto, legnosa e goffa, la grande macchina è più contenta. Se una donna fa un altro mestiere e arriva lì, tra maschi professionisti, prestata a una professione non sua, la grande macchina è più contenta. Se una donna arriva lì e può essere trattata come un elemento bizzarro con tatuaggi strani, le tettine disegnate, le domandine graffianti ma ricordati, i padroni di casa siamo noi, noi ti diciamo quando puoi fare le scale perché “che scale grandi che hai, è per guardarti meglio!”, la grande macchina è più contenta. Chiara Francini alla fine era fuori posto perché quello era il suo posto, in un luogo in cui da anni si chiede a inesperte di misurarsi con due delle esperienze artistiche più complicate del mondo: la conduzione (ma un passo indietro, mi raccomando) e il monologo. Perché noi dobbiamo essere lì e dimostrare di meritarcelo, mica possiamo solo metterci un bel vestito e presentare i cantanti come gli uomini (come mai a Ibra nessuno ha chiesto un monologo?). Del resto, non puoi mica solo portare la scimmia al circo, devi pure far vedere che pattina e si sbuccia la banana da sola, che è intelligente quasi quanto il suo addestratore. Quasi.
Se a questo si aggiunge che il giochino di cambiare “valletta detta co-conduttrice” ogni sera alimenta il giochino di mettere in competizione le donne (quella è stata più brava, no quell’altra), il capolavoro del maschio al comando è compiuto.
Insomma, Chiara Francini, che piaccia o meno quello che ha portato sul palco (a me il mondo signorina Coriandoli non fa impazzire, ma poco importa), era lì a fare il suo mestiere e siccome era un addestratore pure lei, non la scimmia, il suo tempo è stato misero e risicato.
Se a questo si aggiunge che non ha portato il discorsetto retorico da applausi facili ma un monologo teatrale anti mamme- pancine, non la foto dei figlioletti ma una carrozzina vuota, non “sono una brava mamma” ma “sono una madre di merda prima ancora di esserlo”, beh, Chiara Francini su quel palco era quasi un fastidio. Con un governo che ci dice che dobbiamo figliare, poi, altrimenti tra un po’ ci chiameremo tutti Mohamed, non ne parliamo proprio.
E ha detto un’altra cosa coraggiosa Chiara Francini, coraggiosa per questo tempo strano in cui la parola “odio” è così inflazionata da aver perso di significato. Non si è giocata la carta facile “amiamoci, basta odio, gli hater, siamo tutti più buoni”. Ha detto che l’odio, quello nei confronti del sistema e non delle persone, è necessario. Ha detto al figlio-non-nato: “Per favore vienimi su brillante, con la battuta pronta. Odia, odia, odia ciò che si deve odiare, il male, l’ingiustizia, perché è con quell’odio che si fa tutto. Non è vero che si fa con l’amore. Sì, con l’amore si fanno delle cose, ma il grosso si fa con quell’odio lì. Profondo, viscerale, instancabile”. Ha ricordato che l’odio, quando difende il giusto, è passione. E poi ha dato del “mostruoso” a un neonato, ha detto che le persone incinte sono violente perché pretendono di esser festeggiate, ha detto che i figli esistono prima di noi e non saremo noi a decidere cosa saranno, anche se ne siamo convinti.
Insomma, ha detto un mucchio di cose così poco rassicuranti e così inadatte a una platea ormai pigra e assuefatta alla finta bontà che poteva essere un fallimento e invece ha funzionato lo stesso. Ha funzionato pure se è uscita più tardi di Angelo Duro la sera prima e della pubblicità di Poltrone e sofà. Ha detto molte più verità con una maschera, che con un corpo fintamente nudo.
Ha funzionato perché Chiara Francini non era alle prove della scuola con la recitina scolastica, non stava pagando la solita tassa obbligata e rigorosamente femminile di dover sembrare intelligente. Quello non era il compitino scritto a Sanremo per dimostrare che le donne sanno anche leggere e non cadere dalle scale, talvolta, era il suo lavoro. E mi verrebbe da dire ad Amadeus una cosa semplice: riguardati la puntata, osserva bene te e Morandi sul palco con una che quel palco lo sa governare. Scoprirai una cosa interessante: funzioni meglio anche tu. Funzionate meglio anche voi. Morandi esce dal ruolo forzato del nonno galante. Tu da quello del papà protettivo. Funziona lo show, il ritmo, non c’è imbarazzo, non si sposta l’attenzione sulla goffaggine, non sembra Miss Abruzzo. Potete abbandonare il paternalismo stucchevole e polveroso, e potete godervi lo spettacolo pure voi. A chi l’ha piazzata alle due di notte invece voglio dire un’altra cosa: il palco di Sanremo è un trasformatore di corrente: nulla resta come arriva lì, può ridurre o moltiplicare. Una cosa però è certa: quello che è bello, a prescindere da chi lo dice, dalla sua notorietà, dal suo peso specifico nella gerarchia dei famosi, funziona. E’ un peccato, perciò, che nella forza di quel momento si sia creduto così poco. Certo, chiara Francini ha avuto spazio comunque sul palco di Sanremo, mi direte voi. E qui sta la fregatura interiorizzata: ritenerla una concessione dall’alto a cui dobbiamo gratitudine è un po’ come dire che Egonu non può lamentarsi del razzismo, con tutto quello che noi italiani le abbiamo dato. Dobbiamo smetterla di accontentarci. Dobbiamo ODIARE di più e con forza il sistema che ci chiede di farlo.