A pochi giorni dal terremoto che ha devastato la Turchia e la Siria, provocando migliaia di morti e dispersi, emerge sempre più impellente la necessità di sviluppare strumenti e modelli in grado di prevedere con maggiore previsione il rischio che si verifichi una scossa sismica. Un nuovo lavoro condotto dagli scienziati della Northwestern University e descritto sul Bulletin of the Seismological Society of America, potrebbe aprire la strada a una nuova gamma di studi orientati in questa direzione.
Il gruppo di sismologi e statisti, guidato da Seth Stein, ha infatti elaborato un nuovo modello, basato sull’insieme dei terremoti passati, che potrebbe semplificare la stima della probabilità che si manifesti una scossa sismica. Secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), ogni anno nel mondo si registrano mediamente 140 terremoti di magnitudo pari o superiore a 6, con una significativa variazione tra i diversi anni. In particolare, secondo il rapporto dell’INGV, che raccoglie dati dal 1950, il numero massimo di questi eventi sismici, pari a 207, si è verificato nel 2011. I terremoti, spiegano gli scienziati, sono vibrazioni o assestamenti della crosta terrestre, provocati dallo spostamento improvviso di una massa rocciosa nel sottosuolo. Questi movimenti dipendono da una serie di forze che provocano una lenta deformazione delle placche tettoniche, che accumulano energia e la rilasciano in una zona interna della Terra.
Nel nuovo studio, i ricercatori hanno scoperto che le faglie sono caratterizzate da una sorta di “memoria a lungo termine”, che potrebbe contribuire a spiegare il motivo alla base del fatto che i terremoti tendono a manifestarsi a grappoli. In pratica, riportano gli esperti, i singoli eventi difficilmente rilasciano tutta la tensione accumulata nella faglia, il che può causare ulteriori scosse di notevole intensità. Tradizionalmente, i sismologi hanno ritenuto che i grandi eventi sismici che avvengono in corrispondenza delle faglie più attive fossero in qualche modo ciclici, ma in realtà è stata osservata una notevole variazione nei periodi in cui si verificano i terremoti.
“Nel nostro lavoro – afferma Stein – abbiamo considerato l’intera storia dei terremoti, piuttosto che la media degli eventi che si verificano in una faglia. Questa visione d’insieme potrebbe essere molto utile per sviluppare un modello di previsione più attendibile”. Gli studiosi hanno infatti esaminato i processi di confine delle placche e la deformazione all’interno della litosfera attraverso una serie di tecniche di indagine, come la sismologia, la geofisica marina e la geodesia, che riguarda la misurazione della geometria, della gravità e dell’orientamento spaziale della Terra. “I grandi terremoti – aggiunge James S. Neely, collega e coautore di Stein – non si verificano con una cadenza regolare, anzi. A volte abbiamo notato cali di attività per notevoli archi di tempo seguiti da numerosi eventi ripetuti in tempi relativamente brevi. I modelli tradizionali non sono in grado di spiegare questa variabilità, mentre il nostro strumento potrebbe aiutarci a comprendere meglio questi fenomeni”.
Il terremoto di magnitudo 7.8 che ha colpito la Turchia e la Siria lunedì ha avuto come epicentro la città turca di Gaziantep, ed è stato seguito da una scossa di assestamento di magnitudo 6,7 e da un’altra di 7,5 a distanza di poche ore. Ad oggi, il bilancio delle vittime ha superato le 22mila perdite tra Turchia e Siria. I ricercatori sperano che questo strumento possa rivelarsi utile per la previsione delle scosse telluriche. Attualmente, infatti, è possibile solo stabilire con un certo margine di incertezza la probabilità che un terremoto si verifichi entro un determinato numero di anni. Conoscere con più precisione il rischio di una scossa, concludono gli scienziati, potrebbe facilitare gli interventi di prevenzione dei danni e la gestione dell’emergenza, salvando potenzialmente migliaia di vite umane e prevenendo ingenti perdite economiche.
Valentina Di Paola
Nella foto la città turca di Kahramanmaras