Le scuole nel sud della Turchia rimarranno chiuse fino al primo marzo. I 19 milioni di bambini e di ragazzi che vivono nelle 10 province più colpite dal terribile terremoto del 6 febbraio potranno tornare sui banchi tra venti giorni, seppur nelle classi allestite nei tendoni. Lo ha annunciato il 12 febbraio il ministro dell’Istruzione nazionale turco, Mahmut Ozer. Un primo passo verso la normalizzazione della vita della popolazione, secondo le istituzioni. Normalità che, però, a sei giorni dal sisma, mentre si continua a scavare, anche a mani nude, fra le macerie, è ancora troppo lontana. Il conto delle vittime continua a salire: sono 33.179, ma la cifra è destinata a crescere ancora nei prossimi giorni.
I funzionari e i medici hanno dichiarato che 29.605 persone sono morte in Turchia e 3.574 in Siria. Ma dal Paese di Damasco, devastato da anni di conflitti, arrivano informazioni frammentate e incomplete. È difficile quantificare precisamente le vittime e i danni. Il sisma ha coinvolto milioni di persone. Gli sfollati sono oltre cinque milioni e secondo Martin Griffiths, il responsabile dei soccorsi delle Nazioni Unite, il numero finale dei morti causati dal “peggior evento accaduto in 100 anni in questa regione” potrebbe superare i 50 mila.
Nel frattempo, continuano le ricerche dei dispersi. Nonostante le temperature gelide, la stanchezza dei soccorritori e dei volontari, e i sei giorni trascorsi dal giorno del sisma, c’è ancora chi riesce a uscire vivo dagli scheletri dei palazzi. È il caso di un neonato di 7 mesi, salvato nel distretto di Antakya, nella provincia meridionale turca di Hatay, dopo 140 ore trascorse sotto le macerie. Ma non si tratta dell’unico caso ‘miracoloso’: una bambina di 10 anni è stata tratta in salvo, dopo 147 ore, nella stessa zona. Mentre nella provincia di Adiyaman è stato salvato un bimbo di 8 anni, rimasto 152 ore sotto i detriti.
Ad Ankara intanto infuriano le polemiche. I cittadini chiedono che il governo agisca velocemente, dopo i ritardi nei soccorsi dei primi giorni, e che venga fatta chiarezza su chi ha responsabilità del disastro. L’11 febbraio le autorità turche hanno emanato mandati d’arresto per 113 costruttori edili. Centocinquanta procure locali, annunciano dal ministero della Giustizia, sono state autorizzate a istituire delle “unità investigative sui crimini legati al terremoto”: i procuratori potranno avviare cause penali contro tutti i “costruttori e i responsabili del crollo degli edifici che non rispettavano i codici esistenti, introdotti dopo un disastro simile nel 1999″. Uno degli imprenditori arrestati è Mehmet Yasar Coskun, responsabile della costruzione di un condominio di lusso di 12 piani con 250 appartamenti nella provincia di Hatay che è stato raso al suolo dal terremoto. L’uomo è stato arrestato all’aeroporto di Istanbul mentre cercava di lasciare il Paese per andare in Montenegro.
Secondo alcuni critici, gli arresti sono un tentativo di Ankara di deviare la colpa del disastro, dato che gli esperti avevano avvertito da tempo che molti nuovi edifici non erano sicuri. La Bbc riferisce che le politiche governative in passato hanno consentito “amnistie” per i costruttori che non hanno rispettato le norme edilizie, anche in aree a rischio sismico, nel tentativo di innescare un boom del settore.
Oltre alla caccia ai costruttori, le forze dell’ordine turche devono fronteggiare un’altra emergenza: quella degli sciacalli. Sono almeno 98 le persone arrestate nelle scorse ore per i saccheggi degli edifici danneggiati dal terremoto. Tra le altre accuse contestate anche quelle per rapina e frode. Secondo fonti della sicurezza, alcune persone sono state arrestate dopo essersi spacciate per operatori umanitari e per aver tentato di saccheggiare sei camion carichi di cibo destinati ai sopravvissuti. Parallelamente alla caccia ai costruttori, il presidente Recep Tayyip Erdogan promette una dura battaglia contro gli sciacalli: “D’ora in poi le persone coinvolte nei saccheggi non sfuggiranno alla mano ferma dello Stato”.