Seconda ad un solo punto dalla corazzata Bayern Monaco: la massima competizione europea sarebbe la chiusura di un cerchio incredibile per la seconda squadra di Berlino, contraddistinta da una storia spesso travagliata e in cui i supporters hanno sempre avuto un ruolo salvifico oltre che attivo
Die Mauer muss weg. Il muro deve cadere. Lo slogan della Berlino divisa, spartita per quasi trent’anni tra est ed ovest, oggi è un coro che i tifosi biancorossi dell’Union Berlino, la grande sorpresa della Bundesliga, intonano allo Stadion An der Alten Försterei, che tradotto dal tedesco significa “lo stadio vicino alla vecchia casa del guardaboschi”. Un nome decisamente poco commerciale per uno stadio di questi tempi, che presto potrebbe vedere anche un altro muro abbattersi: grazie al grande campionato di quest’anno, che vede l’Eisern Union (l’Unione di ferro, soprannome con il quale viene chiamata la squadra biancorossa) seconda ad un solo punto dalla corazzata Bayern Monaco, sognare in grande non costa nulla e anche solo l’approdo in Champions League, che a Berlino non si vede dal 2000 quando vi partecipò l’Hertha, oggi a rischio retrocessione, sarebbe il coronamento di un’ascesa verticale per l’ex club della Germania Est. E pensare che l’Union aveva fatto il suo esordio ufficiale in Bundesliga soltanto nel 2019, dopo anni di anonimato passati nelle serie inferiori a seguito della caduta della Repubblica Democratica Tedesca.
La storia – Quando si ripensa al calcio della Germania Est non bisogna dimenticare che al di là del Muro l’attività sportiva era amatoriale e perlopiù controllata da istituzioni statali, come la Dynamo Berlino, club della Stasi, e la Dynamo Dresda, gestita dalla polizia popolare della Germania Est, la Volkspolizei. E l’Union? Il club biancorosso di Berlino, così come lo conosciamo oggi, venne fondato nel 1966 per richiesta del presidente della Federazione sindacale nazionale, Herbert Warnke, che ottenne di avere un club civile “per i lavoratori”, visto che la scena della capitale tedesca era difatti monopolizzata da Dynamo Berlino e Vorwärts Berlino, squadra dell’esercito. Nonostante alcuni buoni piazzamenti e la vittoria della Coppa della Germania Est, nel 1968, la vita del club non era semplice: l’Eulenspiegel, massima rivista berlinese di quegli anni, scriveva che “non tutti i tifosi dell’Union Berlino erano nemici dello Stato, ma tutti i nemici dello Stato erano tifosi dell’Union Berlino”. “Fino al crollo del Muro, l’Union ha subito angherie, soprusi, i giocatori di talento senza troppe spiegazioni venivano presi e spostati dal potere nelle loro squadre (una su tutte la Dynamo Berlino): questo rendeva impossibile giocare, vincere e ottenere successi. Non è un caso, infatti, che l’Union abbia perso alcune volte anche con otto gol di scarto”, racconta Giovanni Sgobba, giornalista professionista di Bari, residente a Padova, e tifoso italiano del club berlinese. Un amore, il suo, che lo ha portato nel 2015 a creare la pagina Facebook “Eisern Union Italia – il tifo per l’Union Berlin”, che oggi conta oltre 2mila iscritti, dove i tifosi commentano le partite del club e raccontano le trasferte a Berlino. Una storia in piccolo che dimostra l’attaccamento dei tifosi per il club, la cui storia era scivolata nell’oblio dopo il 1989, quando era finito a calcare i campi delle categorie dilettantistiche del calcio teutonico, e che solo l’amore dei propri supporter è riuscita a raddrizzare.
Il rapporto con i tifosi e il territorio – Se il club oggi è in piedi, il merito è della tifoseria, che più di una volta ha salvato l’Union dal fallimento. È il caso del 2005, quando i supporter raccolsero un milione e mezzo di euro grazie alle donazioni di sangue, che in Germania vengono rimborsate: in questo modo la società, al tempo in quarta divisione, riuscì ad evitare il fallimento. E fu sempre merito dei tifosi la ristrutturazione dello stadio, nel 2009 non a norma per la Zweite Liga, la serie B tedesca. I sostenitori biancorossi si sono prestati come volontari per rifare l’impianto, costato alla fine circa 140mila ore di lavoro. Un’opera completata nel 2013, quando la società ha completato i lavori ristrutturando la tribuna centrale dello stadio. “L’atmosfera è unica: ricordo la prima volta che ci sono andato, era una domenica di fine agosto dell’estate 2012 e l’Union affrontava in casa l’Eintracht Braunschweig. Quella partita di Zweite Liga la vinsero gli ospiti 1-0 su rigore, ma fu veramente bello vedere come vivevano in modo semplice il calcio e il senso di appartenenza di genitori, anziani e bambini. Siccome lo stadio e il quartier generale della squadra sono a Köpenick, distretto a sud est di Berlino, per arrivare è necessario prendere il treno e attraversare il bosco: la carovana di tifosi che si reca allo stadio diventa così una sorta di processione in cui si va tutti assieme, festanti, ovviamente con ettolitri di birra. Nel dopopartita, nonostante la sconfitta, i giocatori si fermarono comunque a chiacchierare con i tifosi, un dettaglio che non si vede spesso in Italia”, evidenzia Sgobba.
La stagione – Se il primo anno, l’Union era riuscito a salvarsi senza grossi problemi, negli anni a seguire c’è stata una crescita verticale: nel 2021 è arrivato il piazzamento in Conference League e nel 2022 l’Europa League, dopo una lotta per un posto Champions persa per un solo punto. Il merito di una simile scalata è evidente. “L’allenatore svizzero Urs Fischer, che ha preso in mano l’Union Berlino quando era in Zweite Liga nel 2018-2019, ha dato una mentalità solida alla squadra, nonostante cambi ogni anno 8-9 elementi: così tutto il gruppo sembra solido e autore del suo destino, a prescindere dagli avversari. Può senz’altro ambire a risultati importanti”, rimarca Sgobba. La Champions League, per una società rimasta ancora legata a un modo di vedere e intendere il calcio diverso da quello delle altre, sarebbe un premio davvero importante, ma in ogni caso anche la massima rassegna continentale non cambierebbe la filosofia di fondo del club. Come sottolinea Sgobba, “l’Union sarà sempre un club di soci, molto legato a una comunità che fonda la sua esistenza nell’integrazione, nella lealtà, nella lotta anche a soprusi e ingiustizie, come insegna la sua storia. Non dimentichiamoci che l’anima, così come le radici, rimangono anche se il mondo corre: per questo è bello che ci sia una parte di globo che resta un locus amoenus, legato ad una filosofia etica e valoriale di approcciarsi alla vita e al calcio”.