Si fa sempre più tesa e complessa la situazione in Israele. Dallo scorso dicembre il paese è governato dall’esecutivo più a destra nella storia del paese capeggiato dal premier Benjamin Netanyauh e con esponenti di partiti ultranazionalisti ed ultraortodossi . “Siamo vicini ad un collasso istituzionale e sociale”, ha denunciato oggi il presidente di Israele Isaac Herzog chiedendo che governo e opposizioni vadano ad un accordo sulla riforma della giustizia per fermare “la pazzia” dell’attuale situazione. Herzog ha sottolineato che la riforma del governo Netanyahu “fa temere per le basi democratiche della democrazia in Israele”, ma non per questo ha escluso i necessari cambiamenti sull’attuale meccanismo della giustizia. Herzog ha quindi indicato 5 punti su cui governo e opposizione possono trovare una intesa.
La riforma mira a rafforzare il controllo del governo sulla magistratura attribuendo all’esecutivo sulle nomine dei giudici. Netanyahu ha la maggioranza in Parlamento e la riforma dovrebbe passare, tuttavia a quel punto potrebbe intervenire la Corte Suprema, invalidandola e scatenando una crisi istituzionale. La riforma prevede anche che la Corte possa annullare le leggi solo se tutti i suoi 15 giudici saranno d’accordo nell’esaminare la questione e 12 saranno d’accordo nel respingere la norma. Numeri che annichiliscono di fatto il potere di intervento dei giudici. Gettando benzina sul fuoco ieri il governo ha approvato una legge che intende riportare in carica come ministro della sanità e dell’interno il leader di Shas (partito religioso) Aryeh Deri bocciato dalla Corte Suprema in quanto più volte condannato per reati fiscali.
Herzog – nel suo intervento in tv, definito raro dagli analisti – ha chiesto al governo di non presentare alla Knesset (il parlamento israeliano, ndr) l’attuale proposta di riforma della giustizia senza prima un confronto con l’opposizione. Il presidente ha poi definito “patrioti” gli israeliani che in queste settimane sono scesi in piazza contro la proposta di legge del governo ma al tempo stesso ha sottolineato che “la riforma non giunge dal vuoto bensì da una sensazione di mancanza di equilibrio e che in questa ci sono aspetti positivi”.
Una nuova manifestazione contro la riforma si svolge oggi a Gerusalemme. La polizia ha fatto sapere di aver chiuso le principali strade attorno alla Knesset e di aver rafforzato le misure di sicurezza. La dimostrazione – come quelle che da settimane si tengono in molte parti di Israele – è stata indetta da organizzazioni del mondo produttivo: dalle start up, alle associazioni degli avvocati, a quelle dei medici e del mondo della sanità, della scuola, ad altre del settore privato. L’invito che hanno rivolto è ad uno sciopero generale in tutta Israele, ma per ora l’Histadrut, il sindacato nazionale, non ha deciso di aderire. “Noi siamo qui solo per pagare le tasse e mandare i nostri figli nell’esercito. Non ci chiuderemo nelle nostre case quando provano a mutare Israele in una oscura dittatura e costringerci al silenzio” ha detto Yair Lapid, leader dell’opposizione . “Fingono di non sentire, fingono che non gli importi ma – ha aggiunto riferendosi al governo – ascoltano e hanno paura”. Secondo prime stime dei media alla dimostrazione sono presenti circa 60mila persone.
Nel frattempo cresce di giorno in giorno il bilancio di scontri e violenze tra Israele e Palestina. Oggi un palestinese di 21 anni è morto per le ferite riportate in scontri con l’esercito israeliano a Nablus, in Cisgiordania. Si chiamava Ihab Bustami. Ieri un ragazzino palestinese di 14 anni è stato ucciso da colpi sparati al torace nel corso di un’irruzione delle forze armate israeliane nel campo profughi di Jenin. Nel pomeriggio di oggi un agente della guardia di frontiera israeliana è stato ferito in maniera grave all’ingresso del campo profughi di Shuafat, a Gerusalemme est. L’agente è stato accoltellato da un ragazzo di 14 anni. Da inizio anno sono morti 45 palestinesi e 10 israeliani.