Nel complicato procedimento per l’omicidio di Giulio Regeni entrerà anche il governo italiano. La premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, saranno sentiti il prossimo 3 aprile dal giudice per l’udienza preliminare di Roma. I due dovranno riferire in merito alla disponibilità a collaborare con le autorità italiane espressa dal presidente egiziano Al Sisi nelle scorse settimane. Lo scorso novembre la presidente del Consiglio era stata in Egitto per Cop 27 e aveva avuto un colloquio con il presidente egiziano in cui si era parlato dei casi Regeni e Zaki. La richiesta di sentire come testi Meloni e Tajani è stata avanzata dal legale dei genitori di Regeni, Alessandra Ballerini. Regeni fu trovato senza vita al Cairo nel febbraio del 2016. Sequestrato e torturato: reati per cui sono imputati quattro 007 egiziani a cui non è stato possibile notificare gli atti del processo. A piazzale Clodio, sede del Tribunale di Roma, anche oggi c’è un sit in a sostegno dei familiari: presenti anche gli attori Valerio Mastandrea e Pif. “Ognuno vive come vuole propria popolarità, crediamo che bisogna prendere posizione sempre” hanno detto i due artisti. “Siamo stati accanto alla famiglia Regeni sin dal primo giorno e oggi siamo qui per farli sentire meno soli”, hanno aggiunto. Fuori la cittadella giudiziaria anche i rappresentanti della Fnsi.
Nei giorni scorsi erano state depositate le motivazioni della sentenza della Cassazione con cui il 15 luglio era stato respinto il ricorso della Procura di Roma contro la decisione del gup che aveva stabilito la sospensione del procedimento disponendo nuove ricerche degli imputati a cui notificare gli atti. “Il perseguimento delle condotte criminose, anche se efferate e ignominiose quali quelle oggetto di imputazione” in uno Stato di diritto deve passare “attraverso il rispetto delle regole del giusto processo” nel pieno ed effettivo contraddittorio. È immune da “vizi logici e giuridici”, scrive la prima sezione Penale Corte Suprema, la valutazione secondo la quale “le qualifiche soggettive degli imputati all’interno delle forze di polizia o degli apparati di sicurezza egiziani, la partecipazione di alcuni di essi al team egiziano incaricato di collaborare con gli inquirenti italiani nel caso Regeni, il fatto che alcuni di loro siano stati in quella sede sentiti quali persone informate dei fatti circa le indagini svolte in Egitto, e la rilevanza mediatica, anche internazionale, del processo italiano, non sono concludenti al fine di ritenere raggiunta la certezza della conoscenza da parte degli imputati del processo a loro carico”.
La Cassazione, scrivono i giudici, non trascura il diritto dei genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni, all’accertamento dei fatti. Ma, sottolineano, la giustizia italiana è tenuta “ad applicare senza strappi il tessuto normativo, garantista e rispettoso dei diritti di tutte le parti processuali”. Il superamento della situazione che impedisce la partecipazione degli imputati al processo – si legge nelle motivazioni – “appartiene alle competenti autorità di governo, anche alla luce degli obblighi di assistenza e cooperazione” che discendono dalle Convenzioni internazionali. La sentenza della Prima sezione penale cita la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizione crudeli, inumani o degradanti di New York, ratificata con legge dall’Italia nel 1988 e dall’Egitto nel 1986. I pm di piazzale Clodio chiedevano di di uscire dalla “stasi processuale” che portò il processo ad uno brusco stop.