Anche al Festival di Sanremo si è tirata in ballo la nostra Costituzione. Ad ogni piè sospinto si tira fuori questa “storia” della bellezza della Costituzione Italiana e quella che io chiamo “la retorica” del Presidente della Repubblica garante del suo rispetto. Adesso è sicuramente perché la destra vorrebbe attuare lo spezzatino d’Italia con l’autonomia differenziata. Una cosa terribile, per la carità, ma non dimentichiamoci che la sinistra volle la riforma del Titolo V e adesso alcuni come Gianni Cuperlo recitano il mea culpa.
Anche se, diciamocelo, il sud d’Italia è stato sempre maltrattato, riforma o meno. Io che mi occupo specialmente d’ambiente potrei citare ‘enne’ porcate realizzate nel sud con la pretesa di industrializzarlo. In pratica il Centro-Sud è stato sempre trattato da parente povero e sempre colonizzato. Ma sto perdendo il filo del discorso. Veniamo alla bellezza della Costituzione. Vero, verissimo, ci sono dei bei principi, ma sono principi. Poi bisogna tradurli in pratica. E allora domandiamoci come sia possibile che nel nostro paese ci sia una persona su dieci in povertà assoluta (dati Caritas) e sia sempre più marcata la forbice tra chi ha e chi non ha. E l’articolo 3 allora a che serve?
Come è possibile che con un articolo come il 9, che recita: “(la Repubblica) tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” (lasciamo perdere come è stato maldestramente implementato), l’Italia sia diventata l’ex Belpaese con il suolo eroso, i crinali deturpati, i boschi tagliati e il mare privatizzato? E se ripudiamo la guerra, come recita l’articolo 11, come mai finanziamo guerre in tutto il mondo o tramite le nostre industrie o direttamente tramite i nostri governi? Oppure come è possibile la deriva cui stiamo assistendo di sostanziale restrizione delle libertà di dissenso anche con manifestazioni (in barba agli articolo 21 e 17) e come è possibile che, se vengono represse con la forza, in Italia sia di fatto vietato risalire ai responsabili semplicemente perché le forze dell’ordine non hanno un codice identificativo?
Oppure ancora: come è possibile che un bellissimo articolo come il 27, che recita che le pene in carcere “devono tendere alla rieducazione del condannato”, sia di fatto negletto con carceri sovraffollate e suicidi? oppure con un articolo dell’ordinamento penitenziario, il 41 bis, che nega al reo persino la possibilità di leggere un libro? Oppure ancora: è garantita in Italia la funzione sociale della proprietà privata sancita dall’articolo 42 e per cui si battono non pochi intellettuali, come Ugo Mattei e altri? Belle parole, sacrosanti principi, ma poi, nella realtà, cosa succede? Domandiamocelo e domandiamolo a chi detiene il potere.