Terremoto Adidas. Tramite un comunicato stampa diffuso giovedì scorso, il nuovo amministratore delegato della multinazionale tedesca, Bjørn Gulden, ha reso note le difficoltà dell’azienda. Ha spiegato infatti che, se si deciderà di ritirare dal mercato le scarpe del marchio Yeezy, prodotte in collaborazione con il rapper e stilista americano Kanye West, quest’anno le vendite potrebbero calare di più di un miliardo di euro rispetto alle previsioni. A ottobre 2022, Adidas aveva chiuso il contratto con Ye (pseudonimo dell’artista) a causa di alcune sue frasi antisemite, ma adesso si è ritrovata con numerose scarpe in magazzino. Il Ceo Gulden ha scelto di “diffondere tutte le cattive notizie in una volta sola”, una strategia che, come ha notato Bloomberg, ha portato a una diminuzione di più del 10% del valore delle azioni di Adidas.
E la “questione Yeezy” potrebbe essere solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso perché, in effetti, la società è in crisi già da tempo per svariati motivi. Giovedì la multinazionale ha annunciato il suo quarto “profit warning” da luglio, comunicando agli azionisti che i profitti per l’anno in corso saranno inferiori rispetto a quanto previsto, con il rischio di perdite. A capo dell’azienda concorrente Puma per quasi dieci anni, Gulden è diventato amministratore delegato di Adidas all’inizio dell’anno sostituendo Kasper Rørsted, sollevato dall’incarico a causa dei precedenti profit warning. Il nuovo CEO ha chiaramente dichiarato di aver bisogno di tempo per “rimettere insieme i pezzi”.
Anche perché, già prima della rottura con West, la società tedesca si era ritirata dal mercato russo dopo l’invasione dell’Ucraina, con un conseguente, drastico calo di vendite. In Russia, Adidas era la prima azienda nel settore dell’abbigliamento sportivo, con un fatturato annuo di circa 500 milioni di euro. E non è tutto. Nello stesso periodo aveva dovuto affrontare un’altra crisi con il mercato cinese, già ridimensionato dall’emergenza sanitaria del Covid-19. Dopo aver annunciato che non avrebbe più comprato cotone dalla regione del Xinjiang a causa delle condizioni dei lavoratori, considerate in occidente non rispettose dei diritti umani, Adidas era stata boicottata da Pechino insieme ad altri marchi. Secondo testimonianze raccolte dal Financial Times, inoltre, già nel 2019 la multinazionale aveva cominciato ad andare in perdita a causa della cattiva gestione. Diversi ex dirigenti reputano che Rørsted abbia compromesso la posizione di Adidas sul mercato, rendendola dipendente dal successo di Yeezy e non considerando la personalità imprevedibile di Kanye West. Non solo. In quel periodo, ci sarebbero stati numerosi licenziamenti in posizioni di rilievo dell’azienda e, in un clima di lavoro tossico, molti responsabili talentuosi si sarebbero allontanati.
Ma fino alla metà del 2022, pur non essendo ben voluto, Rørsted ha avuto ragione: i ricavi di Yeezy erano aumentati rispetto agli anni precedenti, arrivando a costituire il 7% del fatturato dell’azienda (circa 1,7 miliardi di euro) e Adidas aveva cominciato a puntare su collaborazioni con personaggi famosi dello spettacolo, come Beyoncé e Pharrell Williams. I risultati, però, non si erano minimamente avvicinati a quelli del marchio di Ye. Adesso che la situazione si è complicata, stando al Financial Times, l’azienda tedesca conserva nei propri magazzini scarpe per un valore superiore a 500 milioni di euro. Una prima soluzione? Venderle solo con il marchio Adidas. Ma se non dovesse funzionare, le Yeezy andrebbero smaltite in qualche modo. Secondo alcuni, un’ipotesi potrebbe essere darle in beneficienza. Si attendono sviluppi.