“La vicenda ha fatto il giro del mondo e ha gettato tutto lo Stato, rappresentato da Berlusconi, in un discredito planetario. C’è una lesione alla collettività rappresentata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, che per questo è stata ammessa come parte civile”. Così, durante le conclusioni del processo Ruby ter in corso a Milano, l’avvocatessa dello Stato Gabriella Vanadia chiedeva di condannare Silvio Berlusconi (e in solido gli altri 27 imputati) a risarcire palazzo Chigi con una provvisionale di dieci milioni di euro per la corruzione in atti giudiziari. Il reato di cui l’ex premier deve rispondere per aver comprato le false testimonianze degli ospiti delle cene di Arcore, aveva detto, è “particolarmente grave e offensivo“, perchè “mina una delle funzioni fondamentali del nostro ordinamento, la funzione giurisdizionale”, attraverso un “mercimonio della testimonianza“.
Una posizione che ora il governo Meloni ha scelto di rinnegare: il 13 febbraio la premier ha revocato la costituzione di parte civile nel processo contro l’ex premier, avanzata nel 2017 dal governo Gentiloni. Una scelta, ha scritto palazzo Chigi in un comunicato, fatta da “un esecutivo a guida politica”, in base a “valutazioni sue proprie, in un momento storico in cui non erano ancora intervenute pronunce giudiziarie nella medesima vicenda. La formazione, avvenuta nell’ottobre 2022, di un nuovo governo, espressione diretta della volontà popolare, determina una rivalutazione della scelta in origine operata”, si legge. Così, nella serata di lunedì – subito prima che uscisse la nota – lo Stato è uscito formalmente dal processo. Una mossa arrivata in extremis, appena due giorni prima della sentenza di primo grado e poche ore dopo che Berlusconi aveva (di nuovo) messo in imbarazzo la maggioranza con un attacco pubblico al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, costringendo Meloni e i suoi ministri a rassicurare gli alleati occidentali.
Eppure l’avvocatessa Vanadia, una dipendente pubblica, aveva seguito il processo per cinque anni rappresentando gli interessi della pubblica amministrazione e associandosi alle posizioni dei pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, che hanno chiesto di condannare Berlusconi a sei anni di carcere: prendendo la parola per le conclusioni, il 25 maggio scorso, aveva esordito dicendo di condividere “in tutti gli aspetti” la ricostruzione dell’accusa. E aveva anche esposto in aula alcune argomentazioni giuridiche per contestare inoltre l’interpretazione fornita della difesa del Cavaliere sul reato di corruzione in atti giudiziari. Secondo l’avvocato Franco Coppi, quella fattispecie non poteva più essere contestata all’ex premier dopo che i verbali di quasi tutte le Olgettine erano stati dichiarati inutilizzabili in quanto – per il Tribunale – andavano già considerate indagate dal marzo 2012, e perciò sentite in aula con la garanzia dei testimoni assistiti da avvocati. Per Coppi, in sostanza, non essendo valida la deposizione non esiste più nemmeno il reato. L’avvocatessa dello Stato, invece, sosteneva insieme all’accusa una tesi opposta: quello che va “punito e sanzionato”, ha detto in aula, “è semplicemente l’accordo per sviare la giustizia e svenderla, basta questo perchè si configuri reato”. La corruzione in atti giudiziari, concludeva quindi, “si può certamente applicare in questo caso”, perché a essere punito è “l’accordo corruttivo” in sè.
Il danno all’immagine causato da Berlusconi, sosteneva Vanadia nella sua arringa, può essere liquidato “sia nella forma del danno patrimoniale, cioè il prezzo necessario per ridare credibilità all’ordinamento, sia come danno di carattere puramente morale, che deriva dalla lesione dell’immagine dell’amministrazione statale“. Poi ricordava i parametri elaborati dalla giurisprudenza per quantificarlo: innanzitutto “il prezzo della corruzione”, che in questo caso “è stata di un gran numero di testi ed è stata particolarmente generosa. Altro elemento”, proseguiva, “è la natura dei soggetti coinvolti: qui serve ricordare che l’imputato Silvio Berlusconi è stato quattro volte Presidente del Consiglio, lo era stato fino a poco prima della corruzione“. E poi ancora “la notorietà del fatto mediatico: molti fatti di questo processo ormai sono storia, storia che tutti noi abbiamo vissuto in un modo o nell’altro, fatti di cui abbiamo avuto percezione diretta”, ricorda Vanadia. “È una vicenda”, incalza, “che comunque in tutti i suoi aspetti e i suoi risvolti ha fatto il giro del mondo e ha gettato un discredito planetario che certamente dovrà essere valutato. Ovviamente è una banalità”, conclude, “ricordare come chi svolge una funzione ha anche degli oneri particolari di comportamento. Non si tratta della corruzione del singolo funzionrio, che magari è certamente gravissima ma comunque ha un risvolto mediatico sicuramente inferiore. Purtroppo qui la natura dell’imputato Berlusconi e la sua carica istituzionale hanno provocato quel discredito che tutti noi abbiamo conosciuto”.