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Amazzonia, dagli Usa solo spicci per il Brasile nonostante le promesse di Biden. Lula cerca sponde in Cina (e in Iran)

Da Washington la promessa di 50 milioni per il fondo, una cifra irrisoria rispetto alle promesse miliardarie che Biden lanciava durante la campagna elettorale. Il presidente brasiliano, particolarmente scontento, cercherà maggiore fortuna a marzo quando volerà a Pechino per incontrare Xi e rinsaldare (e allargare) l'asse dei Brics

“La comunità internazionale direbbe al Brasile: ecco 20 miliardi di dollari, smettila di distruggere la foresta. E se non ti fermi, dovrai affrontare conseguenze economiche significative”. La dichiarazione fu pronunciata da Joe Biden durante un infuocato dibattito televisivo contro l’allora presidente Donald Trump durante la campagna presidenziale americana nel 2020. La frase inferocì l’alleato di Trump, l’ex presidente d’estrema destra brasiliano Jair Bolsonaro, mentre la cifra di denaro da destinare alla salvaguardia dell’Amazzonia, promessa in campagna elettorale dal democratico Biden, è molto distante dai 50 milioni di dollari che il presidente vorrebbe versare oggi al “Fundo Amazônia”. Biden ha comunicato la somma al suo omologo brasiliano, Inacio Lula da Silva, durante la visita ufficiale avvenuta il 10 febbraio a Washington.

Il presidente Lula si è recato nella capitale americana assieme a quattro ministri del neo eletto governo di coalizione per discutere problemi spinosi, vitali, interconnessi che minacciano lo sviluppo socio-economico del Brasile, gli Stati Uniti e del mondo. Il medio ambiente e la preservazione della foresta amazzonica sono stati tra gli argomenti più discussi durante il colloquio tra i due presidenti, i cui risultati effettivi sono stati considerati dalla delegazione brasiliana al di sotto delle aspettative. Lo stanziamento di 50 milioni di dollari al Fondo Amazzonia sarà sottoposto ora al vaglio della Camera e del Senato americano che ha già destinato 3 miliardi di dollari alla guerra in Ucraina nel 2023. Il malessere della delegazione ha raggiunto subito il Brasile, soprattutto il Roraima, dove vivono gli indios Yanomami, vittime di un vero e proprio genocidio per fame durante la presidenza Bolsonaro. L’ex cercatore d’oro sospese il “Fundo Amazônia”, la principale fonte di finanziamenti per la logistica governativa e delle Ong che difendono la preservazione ambientale e gli indios nelle aree a Nord del Paese. La task force avrebbe potuto impedire l’esodo illegale di 20mila cercatori d’oro e una disastrosa devastazione sociale e etnica figlia anche dell’espansione di fazioni narcotrafficanti che hanno arruolato giovani disoccupati nelle loro gang per controllare, come se fossero favelas carioca, il territorio prossimo al Venezuela.

Creato nel 2008 attraverso un decreto, il Fondo è nato con l’obiettivo di raccogliere donazioni in denaro e restituire investimenti in azioni di prevenzione, monitoraggio e contrasto alla deforestazione, oltre a promuovere la conservazione e l’uso sostenibile dell’Amazzonia legale, dove vive una popolazione di circa 25 milioni di brasiliani. Attualmente, il fondo è considerato come la principale iniziativa per proteggere una delle ultime foreste pluviale del pianeta. Un giorno prima che avvenisse l’incontro tra i due presidenti, l’Istituto di ricerche spaziali brasiliano (Inpe) ha diramato la notizia cha l’area disboscata in Amazzonia è diminuita del 61 per cento nel primo mese di quest’anno rispetto ai dati registrati a gennaio del 2022. L’area amazzonica disboscata da quando Lula ha assunto la presidenza e ha rintrodotto il Fondo Amazzonia a gennaio rappresenta il quarto più piccolo rilevamento delle serie, il cui monitoraggio è iniziato nel 2016.

La positiva notizia non è stata diramata a caso alla vigilia del viaggio americano di Lula poiché si sperava già, durante l’incontro con Biden, l’entrata unilaterale del governo americano al Fondo di cui già fanno parte Germania e Norvegia. Il presidente americano ha promesso a Lula che sosterrà il Fondo alla prossima riunione del G7. “Non ho discusso specificamente di un fondo” – ha affermato il presidente Lula nella conferenza stampa dopo l’incontro – “Ho discusso della necessità che i paesi ricchi si assumano la responsabilità di finanziare i paesi che hanno foreste. E solo in Sud America, oltre al Brasile, abbiamo l’Ecuador, la Colombia, il Perù, il Venezuela, le Guiane, cioè diversi paesi di cui dobbiamo prenderci cura”. L’ex sindacalista Lula è cosciente che la preservazione delle foreste brasiliane e del pianeta è legata alla riduzione della spaventosa esplosione della povertà nel pianeta. Senza il supporto dei paesi ricchi, la miseria, l’estrazione illegale d’oro, il traffico di legname pregiato, di cocaina, d’armi e la criminalità organizzata internazionale che hanno appoggi anche a livello politico e governativo locale, si espanderanno sempre più nelle ultime aree selvagge del pianeta. Il micidiale effetto domino dell’espansione della miseria è più che una minaccia per il presidente Lula che rincorre la ripresa economica per scongiurare l’aggravamento della catastrofica situazione socio economica del paese, minacciato dalla recessione economica in cui potrebbe cadere se non saranno abbassati i tassi d’interesse che non favoriscono gli investimenti, ma solo il sistema finanziario internazionale e la supremazia valutaria del dollaro e dell’euro.

L’estrema destra ha i suoi finanziatori anche nel cosmo della finanza speculativa che patrocina personaggi come Trump e Bolsonaro. Ed è innegabile che il governo dell’ex presidente brasiliano Bolsonaro ha quanto meno favorito attività illegali in Amazzonia. Non è un caso che Lula abbia parlato con il presidente americano, ma soprattutto con democratico Bernie Sanders, della necessità d’organizzare una forza d’opposizione mondiale che contrasti l’espansione dell’estrema destra radicale nel mondo che, sempre più in maniera aggressiva agisce organizzata per sovvertire la democrazia nel mondo.

Se la diplomazia brasiliana non è rimasta particolarmente contenta con i risultato del viaggio di Lula a Washington, lo sarà forse di più a marzo quando il presidente globe trotter brasiliano, accompagnato dalla ex presidente Dilma Rousseff volerà a Pechino per incontrare l’omologo cinese Xi Jinping, il quale, assieme a Lula e Vladimir Putin, sono stati tra i fautori del blocco economico dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Xi – il presidente del paese che detiene una buona fetta del debito americano e primo partner commerciale del Brasile – è particolarmente ansioso d’incontrare Lula e la Rousseff che sostituirà l’attuale presidente della banca dei Brics, Marcos Troyjo, nominato dall’ex presidente Bolsonaro alla guida dell’istituzione finanziaria che potrebbe avere un ruolo importante anche per realizzare quegli investimenti produttivi e non finanziari speculativi che potrebbero contribuire anche a salvaguardare l’Amazzonia. Il blocco dei Brics cominciò a prendere forma nei primi due mandati presidenziali di Lula quando Rousseff era sua ministra. Il presidente brasiliano, oltre a respingere la richiesta del governo tedesco d’inviare munizioni per i suoi Leopard destinati all’Ucraina, vedrà probabilmente anche l’entrata dell’Iran e dell’Argentina nel blocco dove si concentra la ribellione contro il dollaro, usato come riserva monetaria dalle banche centrali e valuta di scambio nelle transazioni commerciali tra i paesi nel mondo.