"Il tempo di lasciare è ora", ha detto formalizzando le dimissioni, anche se resterà in carica fino all'elezione di un suo successore. Che, è certa, "porterà la Scozia all’indipendenza". È stata il primo ministro più longevo della storia di Edimburgo. In carica dal 2014, è rimasta incontrastata al vertice dei nazionalisti-progressisti dell’Snp e del governo locale di Edimburgo per quasi un decennio
Nicola Sturgeon, primo ministro più longevo della storia della Scozia e leader del partito indipendentista Scottish National Party (Snp) ha dato le dimissioni, a sorpresa. “Il tempo di lasciare è ora, anche se molti nel Paese e nel partito pensano sia troppo presto”, ha detto formalizzando dalla sua residenza ufficiale a Edimburgo la decisione, che “viene dal dovere e dall’amore”. Sturgeon ha ricordato “con orgoglio” di essere stata la prima donna a rivestire l’incarico, oltre che la più longeva leader della Scozia; e ha spiegato che resterà in carica fino all’elezione di un successore, dicendosi “fermamente convita che il mio successore porterà la Scozia all’indipendenza”. Secondo una fonte a lei vicina citata dalla Bbc, Sturgeon è semplicemente stanca e “non ne può più” delle responsabilità politiche che ricopre da tempo, ma probabilmente resterà in carica fino a quando non verrà nominato un successore. È stata la prima donna a essere leader del Partito nazionale scozzese indipendentista e contemporaneamente premier.
La sua uscita di scena, tuttavia, s’inserisce in un cambio della guardia più vasto in seno al partito, già segnato di recente dalle dimissioni e dalla sostituzione di Ian Blackford come capogruppo della formazione nel Parlamento britannico di Westminster. Oltre che dal fallimento della strategia della stessa Sturgeon di ottenere per via legale e costituzionale un voto popolare bis sull’indipendenza – che il governo centrale di Londra, ultima istanza in materia, si rifiuta di concedere – attraverso un ricorso giunto infine alla Corte Suprema: ricorso respinto nei mesi scorsi e che ha di fatto allontanato per ora ogni prospettiva concreta di rivincita referendaria ravvicinata, nonostante le divisioni sulla Brexit.
Il profilo – “Puntuta e spietata”, ma anche “capace di ispirare le persone” come la descrisse nel 2015 il Telegraph, giornale non certo tenero nei confronti dell’Snp, Sturgeon è stata alla guida del governo di Edimburgo dal settembre del 2014, quando è subentrata al suo mentore Alex Salmond come primo ministro dopo che l’elettorato aveva rifiutato l’indipendenza. Al ballottaggio, il 55% degli elettori votò per rimanere nel Regno Unito e il 45% per andarsene e lei, da sempre pro indipendenza, decise di guidare il partito in un momento difficile. È “il più grande privilegio della mia vita”, disse allora.
Nata il 19 luglio del 1970 a Irvine, nel North Ayrshire, è cresciuta durante quelli che ha definito “i giorni bui dell’era Thatcher“. Entrata a far parte dell’Snp a 16 anni sull’onda della campagna per il disarmo nucleare, ha studiato Giurisprudenza all’Università di Glasgow prima di lavorare come avvocato. Nel 1992, anno della sua laurea, divenne la più giovane candidata scozzese alle elezioni generali. Non fu eletta e venne bocciata anche nel successivo tentativo del 1997. Il suo ingresso nella politica a tempo pieno è avvenuto quando è stata eletta nel nuovo parlamento scozzese nel 1999. La sua prima grande sfida al governo è arrivata da vice primo ministro e segretaria alla Salute, quando l’influenza suina è stata dichiarata pandemia. Ha poi assunto l’incarico di “Yes Minister”, sovrintendendo alla pianificazione del referendum sull’indipendenza.
Convinta europeista, dopo la Brexit e con il 62% degli scozzesi che volevano restare nella Ue, Sturgeon ha avanzato la possibilità di non concedere il consenso parlamentare alla volontà espressa da Londra. E ha esplorato tutte le opzioni per tutelare il posto della Scozia nella Unione europea. Il suo partito Snp si è affermato alle elezioni locali del maggio 2021, ma non ha raggiunto la maggioranza assoluta che avrebbe dato agli indipendentisti maggior forza nell’avanzare nuovamente la richiesta di un referendum sulla secessione dal Regno Unito.