Dopo le smentite della Casa Bianca e il silenzio dei media, l'85enne premio Pulitzer spiega: "Ho una lunga esperienza in reportage giornalistici basati sulle rivelazioni di fonti che non nomino perché non posso nominare. Nella reazione dei media mainstream rivedo uno schema che ho già incontrato molte volte nella mia lunga storia di reporter"
Il premio Pulitzer Seymour Hersh torna a scrivere sulla piattaforma Substack in merito alla vicenda delle esplosioni che lo scorso settembre hanno gravemente danneggiato i gasdotti Nord Stream che uniscono Russia e Germania correndo nel mar Baltico. Una settimana fa Hersh aveva pubblicato una ricostruzione, in cui veniva citata una fonte anonima, secondo cui l’operazione sarebbe stata ordinata dalla Casa Bianca e organizzata dalla Cia insieme alle forze armate della Norvegia. La notizia, eccezionale se confermata ma piuttosto debole da un punto di vista della solidità probatoria, è stata sostanzialmente ignorata dalla grande stampa statunitense. Washington ha smentito categoricamente la ricostruzione e, in maniera forse un po’ frettolosa, l’inchiesta di Hersh è stata derubricata a vaneggiamento di un anziano giornalista in cerca di visibilità. La Russia ha però ora chiesto ora una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu alla luce di quanto scritto nell’inchiesta. Il sabotaggio al Nord Stream è stato un “atto di terrorismo” non solo contro la Russia ma anche contro la Germania, che è stata “umiliata”, ha detto oggi il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov incontrando i media stranieri accreditati a Mosca. Il ministro ha chiamato in causa gli Usa, affermando che “vogliono risolvere non solo la questione russa ma anche quella tedesca, in modo che Berlino non abbia mai più un ruolo” sulla scena internazionale.
Oggi l’85enne Hersh dice la sua e spiega: “Ho una lunga esperienza in reportage giornalistici basati sulle rivelazioni di fonti che non nomino perché non posso nominare. Nella reazione dei media mainstream rivedo uno schema che ho già incontrato molte volte nella mia lunga storia di reporter“. Hersh cita il caso dell’ inchiesta rivelazione del massacro di My Lai, compiuto in Vietnam dall’esercito statunitense, che gli valse il premio giornalistico più prestigioso al mondo. “La storia fu pubblicata in cinque puntate, nel 1969, dal gruppo di media clandestini Dispatch News”, ricorda il giornalista. “Avevo cercato di convincere le due riviste più importanti dell’epoca, ovvero Life e Look, a pubblicare la storia, ma senza successo. Per me fu un periodo molto difficile, in cui vacillò la fede nella professione che avevo scelto”. Lo scoop fu alla fine pubblicato dal Washington Post e raccolse innumerevoli smentite del Pentagono. Come in altri casi, alla fine, tutto quanto scritto da Hersh si rivelò però veritiero. Tra le numerose inchieste del giornalista c’è anche quella del 2004 sulle torture praticate su prigionieri iracheni da militari Usa nel carcere di Abu Graib. Oltre al Pulizer, Hersh ha vinto 5 premi della scuola di reportage investigativi di Long Island ma in questi giorni sono state molte le lezioni di giornalismo impartite al reporter da commentatori più o meno noti di testate occidentali, incluse quelle italiane.