All’improvviso l’Europa si ritrova dentro una corsa contro il tempo: servono armi, servono munizioni. Anche perché, come dice l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea Josep Borrell davanti all’Europarlamento, per la prima volta dall’inizio della guerra l’Ucraina “non ha il vantaggio di avere più truppe sul terreno rispetto alla Russia”, perché Mosca schiera 360mila soldati, il doppio rispetto a prima dell’inizio del conflitto. “Vogliamo che l’Ucraina vinca la guerra. Appartiene comunque alla famiglia europea, ma speriamo che trovi in Europa il futuro di cui ha bisogno” è la preghiera di Borrell. “Il massimo non basta”, continua, e dobbiamo aumentare gli aiuti militari perché “la guerra si deciderà questa primavera e questa estate” (e il ragionamento di Borrell è che solo imponendosi in campo militare si può arrivare a un negoziato). Il politico spagnolo un po’ scongiura e un po’ accusa: “Abbiamo passato troppo tempo a discutere se avremmo fornito i famosi carri armati Leopard mentre la Russia stava preparando la sua offensiva. Abbiamo passato troppo tempo a discutere di decisioni che avrebbero dovuto essere prese prima di temere di essere coinvolti in una pseudo belligeranza. Ma abbiamo detto che avremmo fornito carri armati e la terza guerra mondiale non è scoppiata. Sì, i carri armati ci sono e ci vorrà del tempo prima che arrivino. Ma il tempo è cruciale e il tempo si misura in vite perse”. Le parole suonano con la stessa musica di Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato, che da giorni avverte che le munizioni stanno finendo e spinge perché arrivino i tank. I Paesi del Patto atlantico si sono di nuovo impegnati a collaborare con le industrie per incrementare la produzione di munizioni.

Oggi Stoltenberg, con un orizzonte più lungo, ha ribadito che una spesa del 2 per cento del Pil a favore delle spese per la Difesa per i paesi Nato devono essere “il punto di partenza, non di arrivo”. E questo, per molti alleati, tra cui la stessa Italia, significa uno sforzo considerevole. “Il nostro Paese ora è sotto all’obiettivo del 2% e si è impegnato a raggiungerlo entro una data che, però, varia a seconda del governo e delle riunioni della Nato”, ha detto il ministro Guido Crosetto. “Io – aggiunge – ho introdotto nel dibattito il tema di coniugare l’impegno al 2% con i limiti dei parametri europei, che obbligano una scelta di quel tipo ad altri tagli”. La più o meno stretta camicia del patto di stabilità – di questo si tratta – vale però solo per chi, tra gli alleati, è anche membro dell’Unione Europea e resta da vedere se questo possa essere un tema valido anche a livello Nato. “Alcuni Paesi che hanno già raggiunto il target del 2% hanno proposto obiettivi del 3-4%”, ha sottolineato Crosetto, tanto per far capire che aria tira.

La Polonia e i Paesi baltici, ad esempio, sono (letteralmente) sul piede di guerra, con programmi di armamento massicci, specie nel caso di Varsavia, che si sta trasformando nella corazzata dell’est e partner sempre più privilegiato degli Usa. Il segretario Usa Lloyd Austin III è stato chiaro: “Dovremo spendere di più per la nostra difesa comune”. E dato che l’America copre oltre il 50 per cento dei costi della Nato, quell’educato “dovremo” probabilmente si trasformerà a Vilnius – dove è in programma il vertice Nato – in un comprensibile “dovrete”. La Germania d’altra parte ha già annunciato 100 miliardi di euro in investimenti militari mentre la Francia aumenterà il proprio bilancio militare di 118 miliardi (spalmati su sette anni). Per entrare nei conteggi Nato servono però i contratti, non le dichiarazioni. La realtà è che, stando ai dati del 2022, solo 9 alleati su 30 erano sopra la famosa soglia. Secondo varie fonti alleate citate dall’agenzia Ansa, l’attenzione da qui a Vilnius si concentrerà molto sul “come” spendere i soldi, al di là della percentuale. “Quel che deve contare è la capacità operativa, non tanto una cifra per la cifra”, nota un alto diplomatico. Quindi andrebbero considerate le missioni all’estero – ora non lo sono – e altre voci. Il dibattito è aperto. Ma sia come sia, alla capitali che finora non l’hanno fatto toccherà probabilmente aprire anche il portafoglio.

Ma il problema più pressante fa data già ad oggi, al massimo a domani. Primavera ed estate, come dice Borrell e come ha detto anche Crosetto nei giorni scorsi. E una cosa sono le parole e un’altra cosa le consegne. La ministra della Difesa del Portogallo Helena Carreiras, a margine del vertice della Nato a Bruxelles, ha spiegato a lettere abbastanza chiare che gli appelli di Stoltenberg sono arrivati ai mittenti, ma dall’altra parte “è impossibile, per il Portogallo, inviare altre armi all’Ucraina”. Lisbona invierà i Leopard 2, fornirà tutto l’addestramento necessario all’esercito ucraino, lavora con la Germania perché i tank stiano sul terreno entro fine marzo. Ma Carreiras sottolinea che il punto è rimanere in equilibrio tra gli aiuti all’Ucraina “e la conservazione della nostra capacità di difesa“. A gennaio, dopo una prima promessa di invio di carri armati da parte del ministro degli Esteri, il ministero della Difesa aveva rivelato che gran parte dei 37 Leopard 2 in dotazione all’esercito portoghese erano inutilizzabili e avevano bisogno di profondi interventi di riparazione e manutenzione.

E problemi del genere mettono in crisi non solo i piccoli Paesi, ma anche chi ha la leadership – conquistata sul campo – dell’Unione europea. E’ Le Figaro, un giornale conservatore, a scrivere che le forze armate della Francia stanno affrontando una carenza di munizioni. “Le nostre forze di terra si stanno confrontando con una carenza di munizioni da 155 mm, usate negli obici e nei cannoni di artiglieria”, afferma il deputato francese Julien Rancoule (della destra del Rassemblement National) che ha compilato un rapporto sulle riserve di munizioni del Paese. “Le tensioni tra coloro che sono favorevoli a sostenere l’Ucraina e coloro che vogliono salvaguardare le scorte per motivi di difesa nazionale potrebbero crescere”, sottolinea Rancoule.

Quanto ai tank, riassume il ministro tedesco della Difesa Boris Pistorius parlando alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, “non raggiungeremo la forza di un battaglione” di carri armati Leopard 2A6 per l’Ucraina. Al momento si parla di un mezzo battaglione. Per fare ordine: oltre ai 14 carri armati promessi dalla Bundeswehr, solo il Portogallo è già pronto a fornire altri tre panzer del modello 2A6. Un battaglione ucraino è invece formato da 31 carri armati in totale. I Paesi Bassi avevano ipotizzato di mandare a Kiev 18 Leopard 2A6 che l’esercito olandese ha preso in prestito proprio dall’esercito tedesco ma non solo una richiesta su questo non è arrivata, ma quei panzer non potrebbero essere mandati perché si rischierebbe “un ulteriore indebolimento della prontezza operativa della Bundeswehr“. La Polonia si appresta a inviare a Kiev altri 14 carri Leopard, ma del modello 2A4.

Sullo sfondo gli Stati Uniti. E’ notizia di ieri che l’esercito americano ha assegnato 522 milioni di dollari in ordini a due società per la produzione di munizioni di artiglieria da 155 millimetri che saranno disponibili da marzo. Ma nel frattempo un sondaggio dell’Associated Press-Norc Center for Public Affairs Research nota che si sta indebolendo il sostegno degli americani alle forniture di armi all’Ucraina: il 48% degli intervistati si dichiara favorevole all’invio di armi, cifra crollata dal 66% del maggio scorso, cioè a meno di tre mesi dall’inizio della guerra. Il sondaggio, riporta il Guardian, indica che il 29% degli intervistati si oppone all’invio di armi mentre il 22% non si dichiara né favorevole né contrario. Quanto potrà durare questo equilibrio tra opinione pubblica e amministrazione americana è tutto da capire.

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Nella foto in alto – La stretta di mano tra il segretario della Nato Jens Stoltenberg e il segretario della Difesa Usa Lloyd Austin III al vertice Nato di Bruxelles

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