“Non voglio essere solo, no. Non voglio essere solo mai”, cantava Eugenio Finardi in Le Ragazze Di Osaka. La paura di restare soli, che è legittima, può però portare alla ricerca ossessiva di trovare un partner. In questo caso siamo di fronte alla anuptafobia, oggi rilanciata dalla ricorrenza di San Faustino, patrono di Brescia e protettore dei single. Il termine anuptafobia significa infatti, letteralmente, “paura di restare senza moglie”, un concetto che può essere allargato al fenomeno più generale della difficoltà di non avere nessuna relazione sentimentale, alla paura di restare single per sempre. “Le fobie servono ad aumentare la sopravvivenza della specie. In questo caso, parliamo della paura dell’isolamento sociale”, spiega Claudio Mencacci, copresidente Sinpf (Società italiana di neuropsicofarmacologia, e Direttore emerito di neuroscienze al Fatebenefratelli – Sacco di Milano). “La solitudine fa male all’organismo, aumenta di fatto il tasso di mortalità delle persone, è come fumare 15 sigarette al giorno o bere 6 bicchieri di vino, continua Mencacci. “La connessione sociale è quindi un aspetto fondamentale della nostra natura perché è vantaggiosa non solo per l’individuo ma per tutto il gruppo della specie”.

Una tendenza naturale quindi che può diventare problematica in persone che vivono tutto questo come lesione della propria identità, quando non si vedono accompagnati a qualcuno. I segnali di chi può presentare tendenza all’anuptafobia sono infatti “la difficoltà di autostima, un’impostazione della propria vita che non tiene conto solo dei propri bisogni, ma tende a soddisfare alcune aspettative sociali, come l’ideale delle nozze – molti, anche se non lo si dice, si sposano solo per fare la festa di nozze e infatti in tanti si sposano per poi separarsi”, continua l’esperto. “Non sono allora i bisogni personali a essere ricercati, ma quelli sociali. E se non li si raggiunge, c’è chi si ritiene un fallito, non adeguato o in colpa perché non all’altezza delle aspettative sociali. Ciò spinge ancora di più alla ricerca ossessiva di un partner. E come quando si ha molta fame, si cerca di prendere qualsiasi cosa pur di soddisfarla. Si tende, in altre parole, ad annientarsi, a mettersi in sudditanza all’interno della coppia negando la propria identità”.

Una serie di atteggiamenti che possono sfociare, dal punto di vista clinico, in uno di depressione e condizione di ansietà. Il fenomeno è in crescita soprattutto nelle donne in cui l’orologio biologico confligge con le aspirazioni sociali di realizzazione personale. “E allora il progetto di realizzarsi personalmente e mettere su famiglia rimane sospeso tra il desiderato e il temuto: desiderato perché c’è l’idea di fondo di crearsi una famiglia e fare figli; temuto perché tutto questo dovrebbe confluire nella scelta giusta del partner che più si avvicina ai propri interessi. Ecco perché dico che ‘il primo matrimonio non si becca mai!’”, ci spiega Mencacci.

E nella donna le aspettative sociali sono ancora forti perché si desidera ancora vederla come soggetto dipendente che deve ‘sistemarsi’, avere cioè un rapporto stabile nel tempo. “Un dato interessante che ho notato nella mia pratica clinica è che nelle città in cui si offrono molte opportunità di realizzazione del sé, la situazione di single si vive con meno ansia e paura. Questo dovrebbe essere un elemento di ulteriore riflessione nell’affrontare questi disagi”, sottolinea Mencacci.

Come gestire quindi questa fobia? “La persona dovrebbe prima di tutto chiarire a se stessa quali sono le sue competenze e quali i suoi punti di forza, queste sono le uniche cose su cui può contare”, continua Mencacci. “Deve investire su di sé e uscire dalla logica di dipendenza, dall’idea che ci si può realizzare solo perché c’è un altro – non solo il partner – che me lo può permettere. La vita si può e si deve affrontare con i migliori compagni di viaggio, ma non con qualsiasi persona che ci capiti a fianco. E se subentrano disturbi evidenti, ossessivi e depressivi, occorre naturalmente avviare un percorso terapeutico”.

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