Salone del Libro lottizzato? No, grazie. Lo scrittore Paolo Giordano, con una punta di ingenuità fin troppo naif, ha rifiutato la direzione della celebre kermesse letteraria di Torino. A scatenare la garbata scelta dell’autore de La solitudine dei numeri primi è stata la richiesta del ministero della cultura del governo Meloni di inserire tre nomi (tre su 19 ndr) nel comitato editoriale del Salone. “Mi è stato chiesto di inserire alcune presenze specifiche nel comitato editoriale. Figure di area. Di destra. Sono stati fatti anche nomi precisi, poi cambiati”, ha spiegato Giordano in una conferenza via zoom dove ha ufficialmente rifiutato l’incarico.
Una sorta di spoil system che si sussegue dalla notte dei tempi nei diversi cambi di governo da centrosinistra a centrodestra. Insomma nulla di nuovo sul fronte editoriale italiano. Eppure Giordano su questo non ci ha visto più: “Sarebbe stato lo stesso anche se lo scenario fosse diverso. Non sono un politico e non voglio esserlo”, ha continuato lo scrittore torinese a cui sarebbe stata affiancata in codirezione la scrittrice Elena Lowenthal. “Questo avrebbe pregiudicato la libertà e l’indipendenza, rendendo impossibile la gestione dell’incarico. Nell’interesse del Salone, un direttore deve avere la vera indipendenza intellettuale, la libertà anche un po’ incondizionata, pur essendo consapevole di vivere in un mondo in cui esistono la politica e le negoziazioni”. Il fulmine scagliato da Giordano nel limbo torinese, dove gli scossoni politici e strutturali da qualche anno sembrano più presenti dei libri sugli scaffali del Salone, ha generato non pochi fastidi. In primis l’Associazione Torino, la Città del Libro è rimasta parecchio spiazzata dal prestigioso rifiuto. “Siamo rammaricati e profondamente dispiaciuti che Paolo Giordano abbia manifestato la sua intenzione di ritirare la propria candidatura alla direzione del Salone del Libro. Dopo l’attenta valutazione delle candidature, Giordano continua a essere per noi il candidato ideale per la sua levatura intellettuale, la sua conoscenza del panorama editoriale nazionale, per lo sguardo attento alle trasformazioni della contemporaneità”, ha insistito l’Associazione di editori e organizzatori, presieduta da Guido Viale che ha valutato negli ultimi mesi le candidature e che mette in moto ogni anno la macchina del Salone. “Riteniamo che il Salone debba continuare a essere libero e indipendente”, hanno spiegato rimandando infine il processo di nomina a giugno 2023, quando l’ultima edizione diretta da Nicola Lagioia sarà conclusa.
È stato, infine, Giulio Biino, coordinatore del comitato direttivo del Salone del libro a rivelare che i nomi “imposti”, motivo del gran rifiuto giordanesco, fossero “una garbata richiesta del ministro della Cultura – il cui dicastero peraltro finanzia il Salone attraverso il Centro per il Libro e la Lettura – di poter condividere, all’interno del rinnovando comitato editoriale, oggi composto di 19 membri, tre nominativi di espressione del ministero”. Giordano del resto ha vissuto il percorso di presentazione delle candidature (una cinquantina, dicono i ben informati) e poi di nomina come fossimo realmente in un paese privo di spinte e spintarelle anche per occupare il gabbiotto dell’usciere del Lingotto. Una tale visione idealmente intonsa da uno scrittore che oltretutto ha vinto nientemeno che il Premio Strega, di certo non il più fulgido esempio di selezione “naturale” del merito, non può che essere applaudita nonché figurare come sorprendente.
Così un po’ come fosse sbucato dalle apocalittiche pagine del suo ultimo romanzo, Tasmania (Einaudi), Giordano ha spiegato: “avevo partecipato al bando pensando che fosse una selezione ordinata, civile, con regole chiare e cristalline. Ho inviato il curriculum, io sono questo”. Ora, mentre l’autore de La solitudine dei numeri primi prepara le valigie per Hobart, la gatta da pelare per gli attori politici del Salone del Libro si complica ancor di più per un piano B che ad oggi sembra totalmente assente dall’orizzonte degli eventi editoriali sotto la Mole.