Cinema

The quiet girl, una storia commovente e misteriosa che parla all’anima dello spettatore

L'opera prima diretta dall’irlandese Colm Bairéad è un piccolo gioiello cinematografico. Distribuisce per l'Italia da Officine Ubu

di Davide Turrini

Più che duro racconto di formazione, The quiet girl è un racconto di involontaria e sognante fuga. Un po’ come nella sequenza in cui la decenne protagonista Cait (Catherine Clinch), prima di addormentarsi, legge qualche pagina di Heidi, il romanzo poi cartone animato in cui una bimba orfana viene accudita e cresciuta dal nonno tra pascoli alpini e caprette. Anche nell’opera prima diretta dall’irlandese Colm Bairéad, la piccola protagonista viene separata dal contesto ostile familiare in cui è nata e, anche se è solo per un’estate, trova affetto e vicinanza da una coppia di parenti che vivono tra mucche, orti e stagni. Siamo nei primi anni ottanta, in una zona rurale dell’Irlanda (i segugi di IMdb segnalano come location la contea di Meath, a nord ovest di Dublino). Cait è un tassello silente ed emarginato di quella che viene definita una famiglia “disfunzionale”: sorelle e fratelli che sbucano ovunque, come ne Il senso della vita dei Monty Python, con vestiti sporchi e bucati; giovane padre anaffettivo, scostante, dedito a sputtanarsi soldi ai cavalli; madre scorbutica, scorticata e inutilmente cinica coi figli. Entrambi i genitori non degnano di uno sguardo Cait anzi: la apostrofano “vagabonda”.

Isolata a scuola come a casa, la bambina trae fortuna dell’ennesima gravidanza di mamma e dai suoi ultimi mesi di gestazione. Tanto che i genitori per togliersi dalle scatole quella figlia che ritengono fastidiosa ne approfittano per mandarla nella fattoria di una cugina a parecchia distanza da casa. Qui la bimba gradualmente si apre, parla, si scioglie e riesce a sciogliere anche la spessa corazza che si erano cuciti addosso Eibhlin (l’ottima Carrie Crowley) e Sean per anestetizzare gli echi di una disgrazia accaduta loro tempo addietro. The quiet girl è impresso in un costrittivo e funzionale formato Academy (il 4:3 de Le otto montagne, come di Godland o dell’ultimo Sokurov) e s’imbeve di parecchie soggettive vagamente enigmatiche di Cait (la carta da parati, lo sfondo fuori dal finestrino, le spalle dei grandi) per un cinema che non vuole necessariamente battere nuovi territori di ricerca formale, ma porsi e centrare l’obiettivo del raccontare una storia commovente e misteriosa che parla all’anima dello spettatore. La magia e la malia di questo piccolo gioiello cinematografico stanno infine nel fondere la quiete di un paesaggio bucolico, ancorché con le sue asperità ambientali, con l’apparente tranquillità della protagonista che pronuncia pochissime parole, si muove quasi meccanicamente, come se stesse celando un segreto inconfessabile. In tutto questo la significante trasformazione fisico-estetica della piccola Cait è di rara delicatezza, affidata soprattutto all’espressività monocorde e imperturbabile del viso della giovane attrice Catherine Clinch. Distribuisce per l’Italia Officine Ubu.

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