Un giovane ciclista con disabilità intellettiva-relazionale in possesso di regolare certificato di idoneità sportiva agonistica ha il diritto di praticare la disciplina sportiva a livello agonistico insieme ad altri atleti cosiddetti normodotati. Lo ha stabilito l’11 febbraio il Tribunale di Biella che si è pronunciato con una ordinanza nella quale ha riconosciuto una discriminazione indiretta ai danni di un under 18 con disabilità a cui gli era stato negato l’iscrizione alla Federazione Ciclistica Italiana (FCI) e quindi non poteva partecipare alle gare ufficiali. La vicenda inizia nel 2019 ma dopo alcuni tentativi di riconciliazione, tutti falliti, il padre del giovane ha depositato un ricorso in tribunale il 5 giugno 2020. Ricorso oggi vinto. Contattata da ilFattoQuotidiano.it la FCI risponde: “La Federazione non commenta le sentenze, ma si limita ad applicarle nel momento che le stesse diventano definitive. Il fatto in questione – aggiunge – è una situazione al limite dei regolamenti di allora e la Federazione si impegnerà a normare, anche dal punto di vista sportivo, tali situazioni in modo che possano essere rispettate eventuali sentenze e soprattutto i singoli tesserati”. La FCI è stata tra le prime, se non la prima, a ricondurre sotto la propria egida l’attività agonistica paralimpica, con accordo diretto con il CIP anticipatore e modello per altri seguenti. “I nostri atleti paralimpici – dice la Federciclismo-, oltre ad essere campioni riconosciuti nel mondo dello sport, sono anche i migliori testimonial dei valori umani e sociali del ciclismo e della sua capacità di superare ogni tipo di barriera a discriminazione”.
La recente ordinanza è stata firmata dalla giudice Francesca Marrapodi che ha ordinato “alla FCI la cessazione del comportamento discriminatorio tenuto in pregiudizio mediante rimozione degli ostacoli che impediscono a questo soggetto di praticare lo sport del ciclismo a livello agonistico. Con compensazione delle spese di lite”. A difendere in sede legale il giovane è l’avvocato Massimo Rolla. L’atleta aveva iniziato a gareggiare come Intellectual Disability ma poi aveva deciso di lanciarsi nella categoria Junior Sport, sostenuto dalla famiglia e con il personale medico che gli aveva rilasciato il certificato di idoneità sportiva di tipo agonistico necessario per accedere alle gare. Ma l’ok da parte della FCI non è arrivato e cosi non ha potuto mai iscriversi e partecipare alle manifestazioni sportive sulle due ruote con tutti gli altri atleti. A ilFatto.it Alessandro Chiarini, presidente del Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità (CONFAD), dice: “Ho appreso con soddisfazione la notizia dell’ordinanza che impone alla FCI la cessazione del comportamento discriminatorio. E’ un altro passo nella direzione giusta per rendere davvero inclusiva la società italiana”.
Chiarini sottolinea che “questo è un caso fra mille piccoli e grandi casi di discriminazione cui sono vittime le persone con disabilità e i caregiver familiari. Purtroppo – aggiunge il numero uno di CONFAD – nelle famiglie a volte prende il sopravvento un umanamente comprensibile senso di accettazione se non di rassegnazione di fronte a situazioni simili, in questa occasione bene ha fatto la famiglia a rivendicare un diritto che evidentemente era dovuto”. Soddisfazione espressa anche da Roberto Speziale, presidente dell’Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale (ANFFAS). “Si tratta certamente di una sentenza importante non già, e non solo, per la questione specifica che affronta ma perché conferma come la legge 67/2006 sulla non discriminazione sia in grado di intervenire in modo significativo e risolutivo laddove una persona con disabilità viene trattata in modo diverso rispetto alle altre persone in ragione della sua disabilità”.