Il Csm non si costituisca parte civile nel processo contro Luca Palamara“. È la proposta arrivata dal Comitato di presidenza di palazzo dei Marescialli, guidato dal nuovo vicepresidente, l’avvocato in quota Lega Fabio Pinelli. Il quale – nonostante gli annunciati propositi di trasparenza e credibilità – sceglie di rinunciare a chiedere i danni all’ex ras delle correnti, imputato (per la seconda volta) di corruzione a Perugia per fatti commessi negli anni in cui era membro del Consiglio. Il nuovo procedimento nasce da un’indagine chiusa pochi mesi fa, in cui la Procura umbra, guidata da Raffaele Cantone, accusa Palamara di aver messo “le sue funzioni e i suoi poteria disposizione di due imprenditori, in cambio – tra l’altro – della partecipazione a “un affare molto vantaggioso”, dell’uso gratuito di due scooter e di soggiorni a Capri e a Roma, nonché di avere “favorito il buon esito” di un procedimento penale in corso a Roma nei confronti di uno di essi, Federico Aureli. Secondo il Comitato di presidenza, però, da questi comportamenti il Csm non ha subito alcun danno, nemmeno d’immagine, perché – si legge – “non emerge dalla contestazione una ipotesi di illecita utilizzazione di specifici poteri e funzioni consiliari”.

Una posizione che ha lasciato perplesso più di un consigliere e probabilmente sarà oggetto di scontro nella seduta di mercoledì, quando il plenum dovrà esprimersi in merito. Andrea Mirenda, l’unico togato eletto da indipendente, non si sbilancia ma ammette: “È molto difficile non immaginare un danno da gravissima lesione d’immagine“. Anché perché è stato lo stesso pubblico ministero di Perugia, nella richiesta di rinvio a giudizio, a indicare il Csm come parte offesa dei reati contestati a Palamara. E per questo, lo scorso 10 gennaio, l’Avvocatura dello Stato ha trasmesso a Roma l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare (in programma il 7 marzo), chiedendo lumi sull’intenzione di costituirsi in giudizio. Ma il Comitato di presidenza, a sorpresa, ha deciso di esprimersi per il no, a differenza di quanto aveva fatto nell’altro processo per corruzione a carico di Palamara, ancora in corso (a novembre è stata chiesta l’archiviazione).

A indicare Pinelli al vertice di palazzo dei Marescialli, d’altra parte, è un partito che ha spesso manifestato simpatia “politica” nei confronti dell’ex pm radiato. Oltre all’avvocato veneto, del Comitato di presidenza fanno parte anche il primo presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio (espressione della magistratura progressista) e il procuratore generale Luigi Salvato, espressione di Unità per la Costituzione, la corrente “moderata” di cui Palamara è stato il dominus indiscusso fino alla sua caduta in disgrazia. Nella proposta di delibera, Pinelli, Curzio e Salvato ammettono che a Palamara “è contestata la messa a disposizione delle proprie funzioni – anche di componente dell’organo di governo autonomo della magistratura – in favore di persone estranee in cambio di utilità”. Ma nonostante ciò, sostengono, “non emerge dalla contestazione una ipotesi di illecita utilizzazione di specifici poteri e funzioni consiliari, non potendosi così affermare, secondo la prospettazione d’accusa, che il dottor Palamara nella fattispecie abbia interferito sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura sviandone l’esercizio dei poteri e orientandone gli atti al perseguimento di fini illeciti”. E di conseguenza, concludono, “anche sotto il profilo della configurabilità del danno, di non ravvisare i presupposti per la costituzione in giudizio”. Una motivazione che, è facile prevedere, non convincerà molti. Ma a qualcuno piacerà parecchio.

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