“Fuoco amico” sull’autonomia amministrativa e fiscale del Veneto. Quando meno te l’aspetti è il governo di Giorgia Meloni e del ministro per gli Affari regionali, il leghista Roberto Calderoli, a impugnare il bilancio approvato dal Consiglio regionale a dicembre su un passaggio in qualche modo anticipatore delle richieste della Regione di gestire in proprio risorse ora appannaggio dello Stato. Il Consiglio dei ministri ha deciso di ricorrere alla Corte costituzionale perché ritiene che a Venezia sia stata compiuta un’invasione di campo su un terreno sensibile, l’autonomia tributaria.
Si tratta della legge di Stabilità che porta il numero 30 del 2022, l’unico bilancio di una regione italiana che sia stato impugnato dal governo. Finora dal fronte dell’esecutivo di centro non era venuto uno stop alla produzione legislativa veneta, come invece è accaduto molte volte negli ultimi anni con governi di altra composizione politica. L’oggetto della censura riguarda le disposizioni con cui l’assessore al Bilancio, Francesco Calzavara, ha previsto che rientrino nelle casse non solo il tributo regionale Irap, ma anche la quota nazionale dell’addizionale Irpef. In una parola, Venezia vorrebbe trattenersi i soldi (da far confluire in un conto della ragioneria regionale) che il contribuente paga all’Agenzia delle entrate per mettersi in regola a fronte di contestazioni di evasione. Siamo sulla linea che vorrebbe tenere in Veneto le somme destinate a Roma, ovvero il discriminante ideologico da cui sono nate le rivendicazioni prima dell’indipendenza veneta, poi dell’autonomia differenziata. Secondo gli uffici di Palazzo Balbi sono in gioco almeno una ventina di milioni di euro all’anno.
La reazione del governatore Luca Zaia ha il sapore di una rivendicazione. “Nel mio oggetto sociale c’è scritto che devo occuparmi degli interessi dei veneti. – scrive in una nota – È esattamente quello che ho sempre fatto, nel momento in cui mi è stato affidato il governo della Regione”. La spiegazione: “Nel caso in questione, che riguarda aspetti molto tecnici sul recupero di somme oggetto di controlli fiscali, restiamo convinti che la parte di provvedimento impugnata sia destinata a tutelare gli interessi dei veneti, per cui andiamo avanti. Sarà la Corte Costituzionale a dover decidere: andremo dinanzi alla Consulta per ribadire la correttezza di quanto abbiamo proposto”. Zaia sa che il braccio di ferro (“Prima i veneti”) può avere effetti negativi anche sulla trattativa in corso per l’autonomia, visto che la legge sembra una prova di forza nei confronti di Roma, che presta il fianco ad attacchi da parte di chi si oppone alle richieste venete. Per questo cerca di sdrammatizzare, anche se svela che un tentativo di contrapposizione esiste: “La storia dei ricorsi e delle impugnative ci insegna che a volte si perde, ma spesso si ha ragione. Non possiamo permetterci di rinunciare a priori a proporre provvedimenti innovativi, dalla forte connotazione regionale. Prova ne è che è stata impugnata dal governo solo una piccola parte, minoritaria, della complessa legge regionale di Stabilità. Altre porzioni importanti e con carattere di novità sono state attentamente vagliate dall’esecutivo senza alcuna eccezione”. Il riferimento è al taglio di imposte regionali dall’8,5 per cento al 3,9 per cento agli istituti per anziani strozzati dalla crisi energetica.
Dalle opposizioni arrivano i primi commenti. “Solo qualche settimana fa Zaia esultava per l’approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge sull’autonomia differenziata, oggi si rammarica, a ragione, perché quella stessa maggioranza di governo, la stessa maggioranza che governa il Veneto, decide di impugnare la legge regionale di stabilità, la principale espressione dell’autonomia tributaria e fiscale della regione. – dichiara Cristina Guarda di Europa Verde – Decisamente una bella prova di concordia tra il centralismo leghista romano e l’autonomismo leghista Veneto”.