L’autonomia regionale differenziata si potrebbe definire un “frattale” che contiene la linea politica di un partito anche su tutto il resto, perché permette di capire se sta dalla parte delle classi – categorie, territori – privilegiate o dalla parte delle cittadine e dei cittadini che ancora aspettano che la Repubblica rimuova “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E le parole dedicate all’autonomia differenziata nelle mozioni congressuali del Partito Democratico danno perfettamente l’idea della posizione del candidato/a, a partire dal fatto che due delle mozioni dei candidati sono piuttosto evasive, una addirittura “smemorata”. Eppure l’autonomia differenziata, con i gravissimi rischi che comporta per i diritti delle persone, per l’unità della Repubblica e per lo stesso esercizio democratico, dato l’esautoramento del Parlamento e la distorsione dei principi costituzionali, dovrebbe essere la battaglia delle battaglie, lo snodo centrale di qualunque mozione che intenda rinnovare un Partito collassato proprio per mancanza di coerenza con la propria storia e di coraggio nella propria missione.

Solo Elly Schlein, nella sua mozione, si esprime fermamente contro l’autonomia, definendo “il disegno di legge di Calderoli sull’autonomia differenziata una proposta inaccettabile, che affonda le sue radici nel progetto secessionista della Lega”, concludendo che “va rigettato con forza, perché non corrisponde agli interessi del Paese. Non è un disegno emendabile. E noi non possiamo scendere a compromessi su questo punto”.

Il Presidente dell’Emilia Romagna Stefao Bonaccini, che ha sottoscritto nel 2018 le pre-intese con l’allora Governo Gentiloni e che in questi anni ha partecipato a più riunioni con i colleghi leghisti della Lombardia e del Veneto sollecitando l’attuazione dell’autonomia differenziata, sposa la tesi dell’”autonomia buona”, scagliandosi contro “l’egoismo territoriale” a favore di un’autonomia che “sia un valore nella misura in cui avvicina le decisioni ai cittadini, semplifica la vita delle persone e delle imprese, migliora la qualità delle risposte ai bisogni del territorio”. All’insegna dell’efficienza contro la burocrazia, e di “maggiori risorse per le autonomie locali perché non ci sono sviluppo economico possibile, servizi sociali ed educativi efficaci, investimenti e qualità urbana migliori”. Proponimenti che stridono non poco con quanto già da lui avviato nella citata preintesa dell’Emilia Romagna, in cui è previsto che “le modalità per l’attribuzione di risorse finanziarie trasferite o assegnate dallo Stato alla Regione… sono determinate… in termini di… compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale…”.

“Maturati in territorio regionale”: una frase che implicitamente apre la strada alla ripartizione dei finanziamenti tra le Regioni non in base ai bisogni degli abitanti, ma in base al gettito fiscale delle Regioni stesse, premiando le Regioni più ricche, come l’Emilia Romagna.

E va ricordato che sul sito della Regione guidata da Bonaccini, nella sezione dedicata all’autonomia, sono indicate le materie di cui “La Regione chiede la gestione diretta e con risorse certe di alcune competenze fra quelle previste dalla Costituzione”, tra le quali “tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l’estero, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, governo del territorio, protezione civile, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, oltre a “Competenze complementari e accessorie” come il “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, rapporti internazionali e con l’Unione Europea delle Regioni”.

Il suo parziale “cambiamento di rotta”, adesso che il tema dell’autonomia differenziata è finalmente giunto all’attenzione dell’opinione pubblica – anche grazie al fatto che al governo ora ci sono Meloni e Calderoli, anziché Draghi e Gelmini o Conte e Boccia, o Gentiloni – appare decisamente oltre ogni tempo massimo e anche piuttosto opportunistico, data l’imminenza delle primarie del Pd.

Troppo minimale la posizione di Gianni Cuperlo, che nella mozione si limita a un breve cenno: “Garantire a tutti i cittadini in modo uniforme su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di assistenza (Lea) e di prestazione (Lep), senza i quali qualsiasi modello di autonomia differenziata è un pericolo da scongiurare perché destinato ad allargare le diseguaglianze”. Quindi ben vengano i diritti “essenziali” e non omogenei per istruzione, sanità, trasporti?

Nella mozione di Paola De Micheli infine l’autonomia differenziata è citata en passant nel capitolo “una sanità pubblica e territoriale”: “La salute delle persone è un diritto garantito dalla Costituzione che deve essere pienamente realizzato: per questo siamo contrari all’autonomia differenziata tra le Regioni. Prima di qualunque progetto di riforma è indispensabile superare i divari territoriali, purtroppo esistenti, tra le regioni e in particolare tra Nord e Sud del Paese”. Quindi come sopra.

In ogni caso, dire che la bozza Calderoli è da respingere, evitando di ricordare che anche le bozze Gelmini e Boccia avevano la stessa impostazione e gli stessi rischi, riduce di molto la contrarietà espressa verso il provvedimento.

C’è da augurarsi che il Partito Democratico, dopo aver perso milioni di voti alle politiche come alle regionali, e soprattutto voti del suo elettorato più sfiduciato che non si è recato alle urne, cambi decisamente direzione, prima ancora che nella scelta del segretario/a nella scelta dei temi e delle battaglie, partendo da quella – la più importante – per la difesa dei principi costituzionali, della democrazia e dell’unità del nostro Paese.

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