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L’Africa spende in armi il doppio che in agricoltura: così una persona su cinque soffre la fame

di Francesco Petrelli*

In Africa si spende più per le armi che per sfamare la popolazione. Una triste realtà, alimentata dai grandi paesi esportatori, che descrive un continente attraversato da conflitti atroci e spesso dimenticati, in cui il numero delle persone denutrite non può di conseguenza che aumentare.

Soprattutto se a questa tragica equazione si aggiungono gli effetti dell’inflazione dei beni alimentari – arrivata oltre il 10% nel 2022 in quasi tutti i paesi africani – e della crisi climatica che genera desertificazione, siccità e inondazioni.

I numeri sono impietosi, molte le contraddizioni, frutto di scelte politiche miopi e promesse non mantenute, su cui proprio oggi in occasione dell’apertura del 36esimo vertice dell’Unione Africana è più che mai necessario riaccendere l’attenzione. In gioco c’è il presente e il futuro di decine di milioni di persone.

Le scelte che portano alla fame sono anche responsabilità dei governi africani

Tra le cause della crescita della fame nell’intero continente nel 2022, vi è certamente il cronico sotto-investimento in agricoltura, che costituisce il principale settore economico del continente.

La maggior parte dei governi africani (48 su 54) ha dichiarato di spendere in media appena il 3,8% del proprio bilancio nel settore, con alcuni Stati che si sono fermati all’1%. In altre parole quasi tre quarti dei governi hanno ridotto la quota di spesa pubblica destinata all’agricoltura dal 2019. Senza rispettare gli impegni solennemente assunti per portare gli investimenti ad almeno il 10% del bilancio nazionale e non attenuando in nessun modo l’effetto della crisi ucraina, che ha fatto schizzare i prezzi di fertilizzanti, carburante, semi e altri materiali essenziali, con inevitabile crollo della produzione di cereali in Africa nel 2022.

Mentre a livello globale anche l’anno scorso la produzione di grano è rimasta pressoché costante (con 777 milioni di tonnellate di grano nel 20/21, a fronte di 771 milioni previste nel 22/23).

“Durante la stagione delle piogge, non avevamo i soldi per pagare il concime. Il risultato è che quest’anno non avremo un raccolto”, racconta Sidbou, una piccola produttrice del Burkina Faso, uno dei Paesi più colpiti dalla crisi alimentare, dove Oxfam è al lavoro per rispondere all’emergenza.

L’investimento in armi non conosce crisi

Al contrario però, l’anno scorso i governi africani hanno speso quasi il doppio (il 6,4% del loro bilancio) per l’acquisto di armamenti di varia natura. Mentre i conflitti in corso, soprattutto nel Sahel e nell’Africa centrale, hanno continuato a distruggere terreni agricoli, a costringere le persone a lasciare la propria casa e di conseguenza ad alimentare la fame.

Per capire il fenomeno bastano pochi dati. Nell’ultimo anno il numero di persone colpite da malnutrizione è aumentato di 20 milioni, con il risultato che oggi una persona su 5 in Africa è denutrita, si tratta di 278 milioni di persone e tra loro i più colpiti i sono i più fragili: 55 milioni di bambini sotto i 5 anni.

Ognuno si assuma le proprie responsabilità

Un quadro tragico su cui è cruciale intervenire quanto prima e che richiede da parte degli Stati africani un’assunzione di responsabilità e un cambio di rotta immediato.

Un appello che come Oxfam rilanciamo con forza, affinché innanzitutto vengano aumentati gli investimenti a sostegno dei piccoli agricoltori che a milioni non riescono a raggiungere con i loro prodotti i mercati dei Paesi vicini, a causa delle scarse infrastrutture, del costo dei materiali e delle tariffe sempre più alte per l’export tra i Paesi africani. Con il paradosso che per molte nazioni africane è più conveniente oggi importare cibo da Europa, Asia o Sud America piuttosto che dai Paesi vicini.

Allo stesso tempo è fondamentale sostenere la capacità dei piccoli produttori di resistere al caos climatico, spingendo i Paesi ricchi e i grandi donatori internazionali a fare la loro parte.

Senza finanziamenti significativi e addizionali per limitare i “danni e le perdite” – rispetto a quelli già previsti dagli stanziamenti in aiuto allo sviluppo – e per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici, nei Paesi africani più colpiti non ci sarà salvezza.

Così come per fronteggiare la crisi alimentare – aggravata e accelerata dalla crisi ucraina e dagli abnormi effetti speculativi che questa ha indotto – la risposta della cooperazione internazionale (efficace perché in grado di intervenire sugli impatti economici e ambientali) è urgente e necessaria.

L’investimento in cooperazione è ancora del tutto insufficiente

Secondo l’Ocse, nel 2021 i paesi industrializzati hanno destinato solo lo 0,33% del loro reddito nazionale lordo (RNL) agli aiuti allo sviluppo. Una quota drammaticamente lontana dallo 0,70% che avevano promesso nel 1970 e che rappresenta uno degli obiettivi fondamentali dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. Per l’Italia lo stanziamento in aiuto pubblico è cresciuto allo 0,22% allo 0,29%. Un effetto probabilmente non replicabile perché dovuto alle donazioni di vaccini per il Covid e al finanziamento straordinario alle agenzie Onu impegnate nella lotta alla pandemia.

Mentre, nonostante le dichiarazioni di priorità sulla sicurezza alimentare, la cooperazione bilaterale italiana investe in agricoltura e sicurezza alimentare ancora troppo poco: meno del 10% del suo budget.

Le responsabilità dell’attuale emergenza sono certamente della comunità internazionale, dei Paesi donatori, delle istituzioni economiche globali, ma oggi anche i governi africani sono chiamati a dare una vera risposta all’urlo di dolore del loro continente.

*policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia