Cultura

“Abbiamo creato una casa editrice con fondi Pnrr. Oggi nel mondo della cultura lavorano under 40 che non hanno quasi mai potere decisionale”

La casa editrice indipendente Timeo vede la luce grazie ai finanziamenti europei. Corrado Melluso, uno dei fondatori, racconta origini e obiettivi del progetto. Che in contemporanea lancia una piattaforma "cyberpunk" alternativa a Facebook. La prima uscita? Dedicata alle utopie

di Martina Castigliani

Il nome è un omaggio a Platone e al dialogo come forma di trasmissione in continuo divenire. La prima uscita è dedicata alle utopie, quelle immaginate e quelle che si realizzano in ogni istante senza che ce ne rendiamo conto. Il fine: “non tradire mai i lettori”, “non svilirli” e aprire un confronto che sia innanzitutto orizzontale. Sotto queste stelle (e sulla spiaggia siciliana di Sferracavallo) è nata Timeo, casa editrice indipendente composta da Corrado Melluso, Federico Campagna, Assunta Martinese e Federico Antonini. Un progetto diventato possibile grazie ai fondi del Pnrr e che, oltre a una veste tradizionale, si presenta già nella doppia versione di piattaforma online un po’ “cyberpunk” e alternativa a Facebook. A raccontarne origini e obiettivi è Melluso, ex direttore editoriale di Baldini&Castoldi e tra i fondatori di Not-Nero edizioni.

Perché una nuova casa editrice?
Nonostante tutto, i libri sono lo strumento più antico ancora usato attraverso il quale ci scambiamo le idee, e sin dalla loro invenzione – hanno una costa, delle pagine e delle parole stampate sopra –, non hanno praticamente subito alcun miglioramento tecnologico. Inoltre, a ben guardare, la tanto raccontata crisi dei lettori non c’è: in Italia si legge ancora e si legge tanto, solo non si seguono più i trend di dieci, venti anni fa. La vera diminuzione dei lettori c’è stata nell’ambito dell’intrattenimento puro e di lì il racconto di una crisi che viene vissuta solo dalle major. I best seller, è vero, sono sempre più rari e non vendono come un tempo, ma non possiamo non notare una grande vitalità delle piccole e medie case editrici che si impegnano a pubblicare libri dalla qualità incontestabile: penso ad Atlantide, L’Orma, NNE, e molte altre.

Vieni da progetti editoriali importanti, perché la decisione di fare da solo?
L’editoria è forse l’ambito in cui il contesto produttivo più determina il lavoro di ognuno. Neanche i direttori editoriali possono davvero espiantare i vizi atavici, le tendenze politiche generali o il piano di produzione dell’editore per cui lavorano. Nell’editoria, e più in generale nell’imprenditoria italiana, siamo da sempre abituati a vedere soltanto rampolli ereditare aziende o quanto è necessario a fondarle, e questo pesa non poco sia nella gestione quotidiana che nella pianificazione generale: tendenze, modalità e visioni rispetteranno sempre una logica di classe che credo sia doveroso combattere continuamente.

E poi non sarò solo, ma con me ci saranno Federico Campagna, Assunta Martinese e Federico Antonini, ognuno dei quali ha grande esperienza e sapranno infondere moltissimo al carattere della casa editrice che stiamo costruendo giorno dopo giorno in ogni minimo dettaglio attraverso un dibattito costante e orizzontale.

Timeo nasce anche grazie ai fondi Pnrr. E’ stato facile accedere?
Non è stato semplicissimo, ma non parlerei neanche di miracolo. Sicuramente servono attenzione, tempismo e cognizione dell’ambito in cui si vuole operare. Una delle maggiori criticità che ho rilevato nel processo consiste nel fatto che quasi tutto viene filtrato dal sistema bancario, che ragiona secondo categorie diverse rispetto a quelle che dovrebbero idealmente guidare questo tipo di aiuto. Io ho avuto la fortuna di collaborare con un istituto in qualche modo diverso come Banca Etica, ma credo sarebbe meglio tenere distanti gli strumenti di pubblica utilità dagli interessi delle aziende private.

Pensi che il Pnrr abbia dato abbastanza attenzione al mondo della cultura?
Quello della cultura è un mondo che si è sempre aspettato dei finanziamenti specifici, ma credo sia impossibile strutturarne in maniera non iniqua: chi può valutare quale progetto è culturalmente valido e quale no? In questo senso credo sia più utile guardare alle possibilità generali che hanno le aziende di nuova formazione per quel che riguarda le facilitazioni d’accesso al credito o lo sviluppo di progetti specifici.

Cosa vuol dire per un under40 in Italia decidere di fare della cultura il suo lavoro? Follia o coraggio?
Il tessuto produttivo italiano, con la progressiva delocalizzazione delle fabbriche e della manodopera, ha spinto enorme parte della mia generazione verso lavori nel terziario, e credo sarà un trend sempre maggiore. Sono in gran parte under 40 oggi a scrivere giornali, editare libri, rendere possibili film e messe in scena teatrali, mostre museali, ad animare il mondo della musica e delle idee, solo che non hanno quasi mai alcun potere decisionale e finiscono per dover scambiare, molto cinicamente, l’acquiescenza rispetto a pratiche lavorative che non condividono con il rinnovo del contratto precario. Con Timeo io, Federico Campagna, Federico Antonini e Assunta Martinese vogliamo molto semplicemente mettere in pratica nel miglior modo che crediamo possibile quanto abbiamo imparato in anni di pratica del sistema editoriale.

Perché Timeo?
È venuto fuori in un furioso brain storming una notte di questa estate sulla spiaggia di Sferracavallo. Ci piace il riferimento a Platone e alla cultura classica – qualsiasi innovazione possibile non può che riportare lì –, e anche il suo essere un dialogo, e quindi una forma in continuo divenire di trasmissione della cultura, che nel suo tramandarsi si ridiscute, e il fatto che tratti della ricomposizione demiurgica degli elementi, della natura degli umani e della relazione continua di scambio tra il macro- e il micro-cosmo. Inoltre, per omografia, consente di creare un’identità duplice, Timeo e Time0, rispettivamente casa editrice, dal nome appunto classico, e portale online, che già dalle intenzioni avrà un approccio più cyberpunk, magari sgangherato, ma attento alle continue opportunità aperte dalle tecnologie di programmazione.

Quali sono i primi titoli?
Il primo titolo sarà una riedizione dell’Utopia di Tommaso Moro, con una prefazione di China Miéville e quattro saggi di Ursula K. Le Guin. Se tutti pensiamo di sapere cosa sia un’Utopia, praticamente nessuno ha letto il testo in cui è stata inventata. A farlo, scopriamo che Utopo arrivò lì con un esercito e sterminò il popolo di Abraxa, che vi viveva da tempo immemore. Dopodiché, col suo esercito e gli indigeni sopravvissuti sottomessi, scavò modificando il bacino idrogeologico fino a far diventare Utopia un’isola. Quello di Moro, insomma, è il sogno colonialista, e a guardar bene si è realizzato, eccome. I nostri titoli vogliono chiarire come ogni istante sia la realizzazione dell’utopia di qualcuno, e come, di converso, se riusciamo anche soltanto a immaginare un mondo migliore vuol dire che in qualche modo è possibile realizzarlo.

A che lettori e lettrici vi rivolgete?
Credo che le lettrici e i lettori facciano già di per sé parte di una categoria particolare di persone attente che cercano nei libri una sfida, un qualcosa che le serie televisive, i videogiochi o altre forme di intrattenimento non riescono a dare. Chi frequenta le librerie, legge i giornali, tenta di mantenere vivo il proprio spirito critico ed entrare in relazione dialettica con nuovi pensieri e categorie immaginative: credo che una casa editrice oggi non debba mai tradire i lettori, non debba mai svilirli pensando che saranno capaci di apprezzare solo le cose più semplici, più confortanti, più immediate. Credo insomma sia necessario ribaltare il vecchio detto in voga tra i direttori commerciali delle case editrici – “il libro che vende è l’unico libro letto dalle persone che leggono un solo libro l’anno” -, e tentare invece di stabilire un dialogo alla pari con la propria comunità di riferimento.

C’è una saturazione dell’offerta editoriale? Ma il “problema” è delle case editrici o dei lettori?
Già nel 1925 Piero Gobetti scriveva che la storia dell’editoria italiana coincide con la storia della crisi dell’editoria italiana. Il problema attuale non credo sia causa dei lettori né delle case editrici, ma che sia frutto delle storture che avvengono in ogni mercato non regolamentato, in cui gli attori più ricchi e importanti possono imporre le proprie regole ai più piccoli. Per limitare il numero di pubblicazioni, per esempio, basterebbe normare il diritto di resa e limitarlo nel tempo e nelle percentuali, mentre invece le pratiche commerciali si stanno naturalmente spostando verso l’opposto, ovvero garantire alle catene e ai maggiori portali di vendita online condizioni come il conto deposito che sono inaudite per i librai indipendenti, creando così uno squilibrio sempre maggiore.

Uno degli ultimi impulsi all’editoria è arrivato dai BookTok su TikTok. Cosa ne pensi: è l’editoria schiava dei social network o l’editoria che cerca nuovi impulsi?

Credo che si parli di libri (o di serie televisive, o di dischi, di film e di quant’altro) dove c’è socialità: sembra un concetto ovvio, ma le aziende tendono a volersi credere artefici di processi sociali già in atto. E quando in un posto di socialità giovanile, che sia un social network o un parco pubblico poco importa, arrivano gli uomini del marketing delle aziende quel luogo inizia a disinnescarsi e a essere abbandonato: è già successo con Facebook, con Twitter e in parte con Instagram. Presto ci sarà un nuovo booktok di cui stupirsi e (per assurdo, ma come accade già) nuovi giovani da deprecare al contempo per quanto poco leggono.

Timeo lancerà anche una piattaforma che permette di interagire con i lettori senza bisogno di Facebook. Perché scelta?

Proprio per questo motivo: vorremmo, come ispira già il nome di derivazione platonica, essere in dialogo coi nostri lettori, con la nostra comunità. Avremo due siti, il primo sarà un sito-vetrina, simile a quello di tutte le altre case editrici, in cui sarà semplicemente possibile acquistare i libri. Per accedere al secondo, invece, occorrerà farsi un account personale. Di lì si aprirà uno spazio fatto di ragionamenti pubblici divisi per bacheche personali, forum tematici e gruppi d’interesse affine. Vorremmo insomma creare uno spazio di discussione e riflessione aperto e inclusivo, ma non generalista e che non ha intenzione di aprirsi a qualsiasi tipo di utenza, anzi, vorrà fornire uno spazio interstiziale inedito, a metà tra il gruppo Whatsapp con gli amici più cari e il profilo Facebook, ormai imploso per sovraccarico. Time0, nelle nostre intenzioni, sarà dove i disertori potranno rifugiarsi per organizzare una propria forma di presenza, dibattito e scambio in rete alternativa e in qualche modo sana.

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