Cinema

Festival di Berlino, i protagonisti sono Zelensky e Boris Becker: documentari su due ‘supereroi’ alle prese con le rispettive battaglie

Al 73° Festival di Berlino arrivano i film documentari sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky e l’ex tennista Boris Becker, protagonisti rispettivamente di "Superpower" di Sean Penn e "Boom Boom! The World vs Boris Becker" di Alex Gibney. Ritratti di due uomini trovatisi loro malgrado nella posizione di eroi in (e per) la Patria

di Anna Maria Pasetti

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e l’ex tennista Boris Becker. Due “supereroi” così diversi che tuttavia la narrazione della 73ma Berlinale vuole accostare e – forse – in qualche modo mettere allo specchio. A raccontarli in due film documentari sono due registi statunitensi, rispettivamente Sean Penn con l’attesissimo e già controverso Superpower e Alex Gibney nel dittico Boom Boom! The World vs Boris Becker, di cui al festival in corso a Berlino è stata presentata solo la prima parte.

È chiaro si tratti di due vicende assolutamente distanti nel tempo e nella geografia, e soprattutto nella gravità di peso specifico nel contesto della Storia, dove il primo sta alla guida di un Paese che sta subendo un’invasione territoriale e sta combattendo una guerra, mentre il secondo ha sostanzialmente combattuto una battaglia solo contro se stesso, rovinandosi l’esistenza e finendo in prigione. Ma è pur vero che l’etichetta di “supereroe” suoni pertinente e interessante per entrambi, trovatisi loro malgrado nella posizione di eroi in (e per) la Patria, simboli non privi di contraddizioni di un immaginario collettivo, il primo tragicamente per un conflitto in progress, il secondo più intimamente epico in una parabola di rise & fall.

Sean Penn, che ha regalato i suoi Oscar a Zelensky (“può fonderli a sua discrezione se necessario, e se non lo farà potrà restituirmeli quando avrà vinto la guerra”) era ben consapevole delle controversie che il proprio documentario Superpower avrebbe scatenato. Un documento-reportage cambiato in corso d’opera causa scoppio della guerra dall’originaria intenzione di essere un ritratto di Zelensky, figura “che ho iniziato a seguire dal momento della sua elezione a presidente: un attore come me che diviene ciò che ha messo in scena, qualcosa di unico”. Penn si trovava in Ucraina dal gennaio 2022 quando è iniziata l’invasione russa il 24 febbraio; ciò che lui con Aaron Kaufman hanno girato “è esattamente ciò che abbiamo visto e sperimentato di persona, nient’altro che la verità. Per questo il nostro reportage non può essere imparziale, è anzi orgogliosamente parzialissimo e se qualcuno mi accusa di essere strumento di propaganda di guerra io rispondo che se questo significa dire la verità non ho problemi a essere così etichettato”.

Superpower mette in scena il divo hollywoodiano in una veste impegnata e – a suo modo – impotente rispetto agli accadimenti di cui è testimone. “Con il presidente Zelensky mi sono incontrato ufficialmente a palazzo proprio il 24 febbraio: vestiti in modo appropriato, telecamere accese, e quest’uomo a rivestire il ruolo e a vivere il momento per cui sembrava nato. Per me Zelensky è il coraggio fatto a persona. Siamo sempre in contatto, l’ho re-incontrato come si vede nel film anche a giugno, quando sono tornato in Ucraina, e ogni scelta da lui fatta è frutto di profondi discernimento e intelligenza”. Plaudendo alla scelta di Berlinale di ospitare il suo film “per cui stiamo cercando distributori che lo diffondano il più possibile, specie presso il pubblico americano per far capire le ragioni di quanto accade”, Penn si è fatto portavoce del punto nevralgico del dibattito presente sulla guerra in Ucraina che, si sa, verte principalmente attorno all’escalation sull’invio di armi. Per l’attore regista americano non ci sono dubbi: “Oggi l’urgenza per il popolo ucraino è la fornitura di armi di precisione a lunga gittata affinché possa difendersi”.

Senza partigianerie, emergenze o propagande, ma semplicemente la narrazione di un reo confesso che si pente (e piange) davanti al mondo, non v’è alcun dubbio che Boom Boom! The World vs Boris Becker sia un lavoro documentario di ben altro spessore cinematografico. E la platea della capitale tedesca non poteva che essere la migliore per accogliere ed ascoltare l’ex Golden boy del tennis di Germania che a soli 17 anni vinse Wimbledon nel 1985 diventando un simbolo e un idolo per un Paese che – all’epoca ancora diviso – non ne aveva più acclamati di simili nel Dopoguerra. Vittima di pressioni psicologiche eccessive per un adolescente, Becker faticò a maturare come uomo, diventando nel tempo protagonista di una parabola discendente che l’ha eletto nei mesi scorsi ai disonori della cronaca giudiziaria per bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale in Regno Unito dove risiede.

È emblematico che nella prima parte “Il Trionfo” del documentario di Gibney – di prossima visione su Apple – l’approccio a Becker sia di un uomo distrutto, praticamente in lacrime. Un mea culpa esemplare per un “supereroe” alla fine fragilissimo, proprio come quella candela accesa che può scegliere se spegnersi serenamente o bruciarsi. Boris Becker a un certo punto della vita ha deciso di farsi del male, e parecchio, sostanzialmente mentendo a se stesso.

Il premio Oscar Gibney, tra i migliori documentaristi viventi, ne ha esemplificato la tragedia classica da novello Sigfrido, mettendo in scena – almeno in questa prima parte del dittico – le sue straordinarie vittorie tennistiche, il suo carattere burrascoso, e la sua clamorosa esistenza da adolescente interrotto. A raccontarlo è anche un parterre tennistico del passato di altissimo livello (con sequenze che per gli appassionati della racchetta sono godimento puro), alcuni dei quali ex rivali di Becker, da Bjorn Borg a John McEnroe, da Mats Wilander all’iconico allenatore rumeno Jon Tiriac e all’attuale numero uno al mondo, Novak Djokovic, di cui il campione tedesco è stato allenatore per alcuni anni. “Dopo che abbiamo interrotto la nostra collaborazione professionale nel 2016 siamo sempre rimasti vicini, soprattutto durante la mia detenzione. Mi ha sostenuto e ha sostenuto la mia famiglia”, ha rivelato Becker.

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