“Immagina che questa intervista in Iran sarebbe una reato e che potrei essere incarcerata se tornassi indietro”. Somayeh Haghnegahdar è una film-maker iraniana che da un anno vive da esiliata in Italia. “Ho dovuto lasciare il mio paese perché non riuscivo più a lavorare a causa della repressione e della censura” spiega al Fattoquotidiano.it. Dopo la laurea in cinema all’Università dell’Arte di Teheran, ha lavorato per oltre vent’anni come montatrice di film che hanno conquistato premi in diversi festival internazionali come il Sundance. Ma negli ultimi tre anni la sua professione era diventata quasi impossibile: “Non riuscivo più a fare nulla”. Una condizione vissuta da tanti artisti e artiste iraniane. “Ci sono diversi modi per attuare la censura e la repressione – spiega Haghnegahdar – se denunci un problema che esiste nella società, le autorità iniziano a chiederti delle spiegazioni, poi ti tengono sotto controllo”. In certi casi possono arrivare a “segnalarti in modo tale che nessuno possa più lavorare con te”. E poi c’è il carcere. “Oggi ci sono più di cento artisti in prigione oppure in attesa del verdetto ma che non hanno la possibilità di lasciare in prigione”.
Mohammad Rasulof, Morgan Ilanlou e Jafar Panahi, scarcerato pochi giorni fa dopo 7 mesi di detenzione. Sono solo alcuni dei nomi dei registi che si trovano in carcere. “Con questa ondata di repressione è diventato difficile per un film-maker girare con la telecamera per strada – racconta Haghnegahdar – ma è successo che i manifestanti hanno iniziato a filmare per strada con i loro telefoni. Lottano a mani nude e con gli smart-phone registrando e diffondendo al mondo quello che accade nelle strade iraniane”. Per chi vive l’esilio invece c’è un’altra forma di resistenza. Haghnegahdar fa parte dell’associazione dei film-maker indipendenti iraniani (iifma.net). che raggruppa oltre cento film-maker da tutto il mondo. “Molti di noi hanno subito censura e repressione nel nostro lavoro” prosegue Haghnegahdar elencando gli obiettivi del collettivo: “la liberazione dei prigionieri politici, aumentare l’informazione sulla protesta, sostenere i film-maker indipendenti iraniani, smascherare la propaganda del regime nel mondo culturale internazionale, fermare la violenza sistemica del regime”.
Come si portano avanti questi obiettivi stando all’estero? “Provando a fare il nostro lavoro – racconta la donna – per me è importante esprimere il mio pensiero, io non sono in Iran ma il mio cuore è lì con loro. Per questo anche se mi trovo in Italia continuerò a fare dei film per descrivere e raccontare al mondo la situazione”. Uno degli ultimi progetti a cui sta lavorando Haghnegahdar è un lungometraggio sulla storia di una blogger femminista iraniana: “Racconto del suo passato in Iran e del suo presente in Italia”. Il film è in lavorazione ma per essere terminato ha bisogno di un produttore: “Penso che sarà un’opera importante perché parla di temi internazionali come il patriarcato, il fondamentalismo nascosto e la violazioni dei diritti delle minoranze sessuali. E quando si parla di diritti delle donne significa parlare dei diritti di tutti gli esseri umani”.