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Diritti - 20 Febbraio 2023
Cannabis terapeutica, l’appello di associazioni e pazienti: ‘Costretti a rivolgerci al mercato nero o ad autoprodurla. Ma siamo malati, non criminali’
‘Basta con la criminalizzazione, noi non siamo delinquenti, siamo malati che vogliono rivendicare i propri diritti”. A lanciare un appello diretto al governo, nel corso di un sit in organizzato il 16 febbraio a Roma, fuori dal ministero della Salute, sono state alcune decine di pazienti, attivisti e associazioni che da anni si battono per estendere e rendere effettivo l’utilizzo della cannabis terapeutica.
In Italia, in base alla normativa, dal 2006 i medici possono prescrivere per uso sanitario preparazioni magistrali contenenti sostanze attive a base di cannabis. Mentre la sostanza, così come già previsto dal Testo Unico sulle droghe 309 del 1990, può essere coltivata dietro autorizzazione di un organismo nazionale ad hoc. Se poi dal 2007 è possibile importare alcune varietà di cannabis terapeutica (Bedrocan, Bediol, Bedrobinol, Bedrolite, Bedica e Sativex) dopo un accordo tra i Ministeri di Salute e Difesa del settembre 2014, le infiorescenze per le preparazioni galeniche possono essere prodotte anche dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. Una tipologia (Cannabis FM-2) la cui produzione è stata avviata nel 2016. Eppure, le criticità non mancano, come ricordano associazioni e pazienti: “Con la scomparsa dell’amico Walter De Benedetto evidente è la certezza che l’unica soluzione a problemi che da anni denunciamo e più volte sottolineato in incontri istituzionali, è concedere l’autorizzazione alla coltivazione ( Art 17 Dpr 309/90) a chiunque necessita curarsi, normalizzando il ruolo delle associazioni che da anni aiutano i malati a divincolarsi nella burocrazia”, spiegano le associazioni riuniti nel ‘Medical Social Club It’.
Anche perché, precisano, “i limiti oggi sono molti”. Dalla formazione dei medici, che “conoscono poco il sistema endocannabinoide e faticano a comprendere i benefici nella prescrizione della cannabis”. Senza contare poi, come “quella coltivata dall’esercito ha qualità e quantità insufficiente. Così il problema più grande continua ad essere quello della fornitura insufficiente, non si può garantire continuità nelle cure”, spiega Raffaello D’Ambrosio, presidente delll’associazione culturale The Hemp Club di Milano.
Molte associazioni e pazienti, di fronte all’immobilismo del Parlamento sul tema della legalizzazione e alle difficoltà quotidiane sull’uso già normato della cannabis medica, spiegano così spesso di “essere costrette alla disobbedienza civile, all’autoproduzione, e poi ad autodenunciarsi, perché questa oggi è l’unica soluzione” per tanti malati. “Io personalmente non ho avuto problemi con la giustizia, ma in tanti hanno subito processi, fermi. Oppure sono stati costretti a dover ricorrere al mercato nero“, c’è chi spiega, come Alberico Nobile, tetraplegico con una lesione midollare, presidente dell’associazione ‘DeepGreen’ di Taranto.
Non è l’unico: “Non possiamo più aspettare, ci hanno chiamato esperti e siamo stati ascoltati dai tecnici del ministero. Ma tutto è fermo e dobbiamo farci sentire di più. Mai più senza farmaco“, è l’appello rilanciato pure da Andrea Trisciuoglio, attivista dell’associazione Luca Coscioni che da anni cura legalmente la propria sclerosi multipla con la cannabis medicinale olandese fornitagli dalla Asl.
Il problema, però, sono tanti: oltre alla carenza del prodotto, c’è la differenza di applicazione delle norme tra regioni in Italia e soprattutto il tema dei costi. Perché la cannabis terapeutica può essere prescritta da un qualsiasi medico per qualsiasi patologia per la quale esista letteratura scientifica accreditata, ma con i costi di approvvigionamento a carico del paziente: “Solo la regione Puglia, la Toscana e poche altre prevedono rimborsi”, c’è chi spiega. Un altro paziente racconta: “Il mio piano terapeutico costa oltre 1500 euro al mese, soltanto in parte a volte mi è stato fornito nelle strutture pubbliche”. Tradotto, anche reperire la cannabis terapeutica può diventare un’impresa per i pazienti.
“Servirebbe liberalizzare l’importazione e consentire che altri soggetti pubblici o privati, oltre allo Stabilimento farmaceutico militare di Firenze, entrino nella produzione“, rivendica l’ex senatore Marco Perduca, dell’associazione Coscioni. “Basta con l’esperimento pilota di Firenze, deve terminare perché si è rivelato uno spreco di soldi pubblici. E non c’è la giusta trasparenza sui fondi dei contribuenti”, spiega Carlo Monaco, dell’associazione romana ‘Canapa Caffè”. “Dovrebbe essere un’agenzia nazionale per la cannabis a valutare quantità e qualità della cannabis e gestire l’importazione”, continua Perduca.
Tutto in attesa di un segnale dal nuovo esecutivo Meloni: “Sappiamo che i partiti che lo compongono sono sempre stati contrari a qualsiasi regolamentazione dell’uso della cannabis, ma qui parliamo di diritti di malati e pazienti. È alla Costituzione e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ci appelliamo”, si spiega nel corso del sit-in. I tavoli tecnici al ministero della Salute avviati nel corso della scorsa legislatura, intanto, già alla fine inconcludenti, sono di fatto stati ‘congelati’, se non forse sospesi: “Siamo stufi di non risposte, comunque dal nuovo governo nessuno ci ha contattati“, spiega pure Alessandro Raudino, di ‘Cannabis Cura Sicilia Social Club’. “Giorgia Meloni? Non si fermi alla sua idea di proibizionismo, capisca che qui c’è in gioco la salute di tante persone. Non possiamo più attendere, perché la malattia non aspetta“, è l’ultimo appello rilanciato dalla piazza.