C’è un mondo di schiavi che sopravvive tra due fiumi. Poco importa si tratti del selvaggio delta del Niger o del governato corso della Senna parigina: l’umanità invisibile che vi galleggia è serrata in una prigionia circolare, cui solo un’iniziale illusione di libertà può dare la speranza.
Su un imprevedibile intreccio di destini si concentra la narrazione del drammatico Disco Boy, il buon esordio in lungo di finzione di Giacomo Abbruzzese, unico italiano concorrente alla 73ma Berlinale. Un film italiano che si fa per dire, giacché dialogato in mille lingue tranne che in italiano (francese, russo, polacco, igbo, inglese nigeriano) né nel Belpaese ambientato. Ma questo poco importa, il regista è tarantino benché di formazione parigina, e accanto alla Francia capofila co-produttiva brilla la virtuosa società italiana Dugong Films. “L’idea del film è arrivata dall’incontro in una discoteca con un ballerino che era stato un soldato. Un corpo mutante dall’apparente inconciliabilità. Da tempo volevo fare un film di guerra, ma da una prospettiva diversa, volevo dare una complessità e una profonda umanità ai personaggi senza etichettarli. È stato un esordio durissimo da portare a casa, 10 anni per metterlo in piedi. Ho cercato di portare il mondo elettronico nella giungla”, ha sottolineato il filmmaker.
Al centro di Disco Boy è la vicenda del giovane bielorusso Aleksei (la star tedesca Franz Rogowski che già aveva lavorato con un regista italiano, ovvero Gabriele Mainetti per Freaks Out) intenzionato con l’amico Mikhail a lasciare il Paese. La prima tappa è la Polonia in cui giunge su un pullman di tifosi di calcio, ma la vera destinazione è la Francia. Il suo periplo da migrante, però, non attraversa le consuete vicissitudini, perché una volta sul suolo francese la sorte lo vuole ingaggiato da un trainer della Legione Straniera. Con tutto da guadagnare e nulla da perdere tranne la vita, Aleksei procede nel suo percorso da legionario che lo porterà anche sulle sponde di quel Niger dove l’incontro con un altro combattente – un eco-terrorista – quasi suo alterego, Jomo, e con sua sorella Udoka saranno per lui rivelatori.
Dramma sulla ricerca e affermazione d’identità ai confini dell’esistere in una costante sospensione tra la vita e la morte, Disco Boy sembra pesare non tanto per quanto racconta ma per come lo racconta. Non suscita novità, infatti, la storia del singolo “eroe” inevitabilmente ostacolato dal potere Occidentale nella sua voglia di fuggire e rifarsi una vita libera, e ancor meno la purtroppo amara verità di una sempiterna condizione di schiavitù per chi nasce al di qua di “quel” confine, piuttosto a farsi piacevolmente notare è l’originalità di sguardo di Abbruzzese, che evidenzia una solida consapevolezza del mezzo audiovisivo, messo alla prova su territori e situazioni di certo complessi. Le pur presenti imperfezioni di scrittura e conseguentemente di montaggio, non escludono la capacità del film di misurarsi con un linguaggio quasi radicale, ove sono sempre l’immagine e la sua sonorizzazione (potente la soundtrack dei Vitalic “nata prima delle riprese, dal racconto che ho fatto loro del progetto filmico”) a governare la narrazione, scarna di dialoghi, densa di inquadrature e sequenze virtuose e ricercate, direzionata con coerenza sulla drammaturgia di una tragedia dei nostri tempi che intercetta l’epica universale. Il punto di vista di Aleksei si mescola a quello dei suoi fantasmi africani, apparizioni tormentate in una coscienza inquieta e giustamente incapace di accettare ciò che è criminale. Abbruzzese non fa sconti, e con coraggio porta ogni imperfezione a mescolarsi dentro a un film teso, “psichedelico” e spietato, che si prende il suo (talvolta troppo) tempo per arrivare al quid ma vi arriva con passione e consapevolezza. Disco Boy uscirà per Lucky Red il 9 marzo prossimo, solo in versione originale sottotitolata.