Qualche frammento di grande cinema e metafore azzeccate come quella della nebbia che avvolge e circonda la stessa Meir non bastano a dare tridimensionalità a un film che non sembra restituire la potenza simbolica - e dunque cinematografica - dei giorni della guerra dello Yom Kippur
C’è una scena in Golda di Guy Nattiv che vale tutto il film. Questa si concentra nei minuti di dialogo vis-a-vis che vedono protagonisti l’allora premier israeliana e il segretario di Stato Henry Kissinger. Un dialogo fondamentale per i destini d’Israele, della Guerra Fredda e – senza forzature – assai chiarificatore su molti aspetti degli equilibri internazionali contemporanei. Il paradosso vuole che i due leader si incontrino nella cucina della Meir, con lei a offrire una zuppa all’”amico” Henry. Siamo nel pieno della guerra dello Yom Kippur e lui, capitato a sorpresa a Tel Aviv, le impone di firmare un trattato di pace con Sadat e Assad per evitare uno scontro diretto con la Russia. Lei risponde che in cambio vuole il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte di Egitto e Siria, e tutte le vittime e prigionieri israeliani restituiti con rispetto. E poi aggiunge, da ebrea ucraina, di aver assistito alle vessazioni antisemite da parte dei russi alla propria famiglia, prima che il padre migrasse negli Usa seguito dalla piccola Golda che lì si sarebbe formata prima di stabilirsi a Tel Aviv, allora Palestina. In quel dialogo sommesso, teso, tra ebrei di nazioni diverse che devono rispondere alla sicurezza dei rispettivi popoli, c’è un frammento di grande cinema e un universo di senso contemporaneo, non ultimo l’attuale guerra tra Russia e Ucraina, benché il film sia stato con molta probabilità scritto prima dell’invasione del 24 febbraio del 2022.
Purtroppo, a parte quella scena di alto valore drammaturgico e recitativo offerta dalla sempre sublime Helen Mirren, “transmutata” in Golda, e Liev Schreiber nei panni di Kissinger, il film dell’israeliano Nattiv, presentato in prima mondiale ieri sera alla 73ma Berlinale (sezione Berlinale Special Gala) non offre una qualità cinematografica all’altezza della sua narrazione della e nella Storia. Non un biopic, bensì il racconto perimetrato della gestione della Meir dei venti drammatici giorni in cui si consumò la sanguinosa guerra dello Yom Kippur nell’ottobre 1973, Golda manca di sfaccettature, sospensioni e sensibilità cinematografiche, puntando tutto sul talento di queen Mirren che – provvista di pesante trucco prostetico – entra mimeticamente nel corpo malato ma coriaceo di una delle leader più carismatiche del secolo scorso, ritratta con pregi e virtù, non privata delle sue scelte controverse. Peccato, perché il testo si capisce essere assai ben documentato in fatti ed avvenimenti storici – gli autori hanno raccolto non solo i materiali ufficiali ma anche e soprattutto documenti tenuti secretati fino a 10 anni fa, includendo le memorie dell’anziano Kissinger – ma il film risulta troppo partigianamente assertivo nel suo tenersi lontano da dubbi e ambiguità sulla verità.
Certo, Golda Meir pianse e tenne il conto di ogni suo soldato morto e ferito, ma lo sfondo contestuale che avrebbe reso tridimensionale il racconto è inesistente. Accanto al roboare di bombardamenti, spari e urla, e al controcampo di chi li osserva a ascolta dai monitor e radio posti nella war room di Tel Aviv, a salvarsi è solo la metafora del fumo (Golda era una fumatrice ossessiva) che annebbia la verità (anche nella percezione della Meir), e la claustrofobia persecutiva di cui è giustamente portatrice la messa in scena del film. Per il resto siamo lontani anni luce dalla potenza simbolica – e dunque cinematografica – di opere israeliane sul proprio controverso mondo militare come quelle realizzate da Samuel Maoz (Lebanon, Foxtrot) o Ari Folman (Walzer con Bashir), solo per dare alcuni titoli. Il film uscirà prossimamente in Italia per 01.