IL COMMENTO - Si tratta di una squallida ipocrisia commerciale. Ma è soltanto questo? Perché i roghi nazisti dei libri sul pensiero socialista e comunista sono brutti e cattivi, mentre quelli della Puffin Books su Dahl sono una boccata d’aria fresca? Gli esegeti di questo nuovo fondamentalismo della cancellazione sensibile non c'entrano con la democrazia, somigliano più ai torvi ayatollah iraniani
Il treno della cancel culture è partito e ci travolgerà, pardon cancellerà, tutti. Nel mirino ancora una volta, e in maniera definitiva, ci è finito lo scrittore inglese Roald Dahl. A breve la sua casa editrice ristamperà La fabbrica del cioccolato o James e la pesca gigante cancellando (e trasformando) nei testi originari parole, termini, concetti ritenuti offensivi come “grasso”, “piccolo”, “nano”. In pratica si riscrivono le storie, i romanzi, i racconti, le idee plasmandole a proprio piacimento e sensibilità. Qualcosa che sta tra la vendetta inconscia di un torto subito, una squallida ipocrisia commerciale e il fondamentalismo fascista degli stati a pensiero unico. Qualcuno dovrà prima o poi affrontare questo tema che abbraccia non solo la letteratura in senso stretto, ma significato e fine della storia in senso ampio con sincera franchezza.
Perché i roghi nazisti dei libri sul pensiero socialista e comunista sono brutti e cattivi, mentre quelli della Puffin Books su Dahl sono una boccata d’aria fresca? Perché quando leggevamo il Bradbury di Fahrenheit 451 o vedevamo il film di Truffaut sul medesimo romanzo trovavamo criminale il gesto radicale di cancellare le tracce di chi non seguiva il pensiero dominante di quella determinata e romanzata cultura dittatoriale? Oggi il fremito del rogo facile, della damnatio memorie sembra spettare ai cosiddetti “buoni” e la questione si complica. Già, perché gli esegeti di questo nuovo fondamentalismo della cancellazione sensibile somigliano più ai torvi ayatollah iraniani che ai giudici democratici del tribunale del popolo. Non a caso tra i primi a mostrare il proprio sdegno sulla questione Dahl è stato uno scrittore come Salman Rushdie che per via di una fatwa cancellatoria ci ha rimesso un occhio e una mano. “Dahl non era un angelo”, ha twittato Rushdie, “ma questa è un’assurda censura”. Insomma, un pensiero, una parola, un’idea va sì stigmatizzata, magari combattuta, se è il caso pure sconfitta, ma cancellata proprio no. Chi cancella è sempre nel torto. Chi cancella, banalmente, è fascista. Anche se cancella le tracce di scrittori fascisti e tracce di fascismo tout-court.
Questo per il gesto in sé. Poi di problemi se ne aprono altri di metodo e di senso. E qui si crea un’ulteriore voragine. Banalmente: ma con tutti i problemi legati alla possibilità di discernere tra vero e falso nei fatti storici o di cronaca di tutti i giorni, come diamine ci permettiamo di cancellare tracce di passato più o meno recente? Da quando lo sport dei “buoni” e dei “giusti” è cancellare, trasformare, riscrivere la storia a proprio piacimento? Nessuna illuminazione democratica, giustizia ultraterrena, principio scientista, giustifica un tale scempio. No, questa pagina di Houellebecq offende le donne e la cultura islamica, via, si cancella e la si rimpiazza con i versi politicamente più corretti, che so, di un Desiati o di uno Scurati. La presenza di Kevin Spacey nei Soliti sospetti e in Seven può creare cortocircuiti in chi è stato nella sua vita molestato quindi cancelliamolo o sostituiamolo con, che so, la riapparizione di Cary Grant. A questo punto entriamo anche casa per casa e mettiamo al rogo le vecchie copie dei libri, dei film, dei fatti storici insensibili che, vuoi mai, potrebbero riemergere dalle ceneri e gettare nel panico i più sensibili. Ebbene, lo chiediamo ai moderni democratici censori 3.0, agli arrapati neo traduttori della frase (di Dahl) “enormemente grasso” con “enorme”: è questa marmellata eteronormata, priva di differenze, di sfumature, di punti di vista, di giudizi, di libero pensiero il futuro che ci attende? Ebbene, se la risposta è sì, faremo resistenza. E sarà lotta durissima. Perchè chi cancella o trasforma tracce di storia e di cultura non offenderà più la sensibilità di qualche singolo, ma ha iniziato a prendere per i fondelli l’intelligenza della collettività.