L’escalation militare è nei fatti. L’incendio nucleare, dietro l’angolo. Alla vigilia dell’anno di guerra in Ucraina non si vede soluzione e nei governi e nelle istituzioni internazionali prevale ancora una drammatica assenza dal negoziato, una difficoltà a tentare qualcosa di diverso dal sostegno in forniture militari. Il direttore della ricerca dell'Istituto Studi Internazionali, Antonio Villafranca, spiega cosa c'è dietro l'impasse dell'Unione e perché "scendere in piazza è legittimo, ma pace non è resa"
L’escalation militare è nei fatti. L’incendio nucleare, dietro l’angolo. Alla vigilia dell’anno di guerra in Ucraina non si vede soluzione e nei governi e nelle istituzioni internazionali prevale ancora una drammatica assenza dal negoziato, una difficoltà a tentare qualcosa di diverso dal sostegno in forniture militari che è rinvenibile non solo nelle decisioni prese ma anche nei discorsi ufficiali, dove la parola pace fa rima con armi. Non a caso la prossima settimana in cui ricorre l’anniversario dell’invasione russa sarà di mobilitazione nazionale ed europea da parte dei movimenti per la pace. Marce, piazze, striscioni per chiedere una svolta che l’Europa non riesce a imprimere pur avendo per motivi geografici, strategici ed economici tutto l’interesse a bloccare il conflitto. Su cosa si è impantanata la diplomazia europea? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Villafranca, esperto di relazioni internazionali e direttore della ricerca Ispi e dell’Osservatorio Europa.
Il dualismo armi-pace allarga la frattura tra cittadini e governi europei. Cosa ne pensa?
Noi tutti vorremmo la pace, fosse così semplice. Se dai le armi all’Ucraina sei per la continuazione della guerra, se non le vuoi dare sei per la pace. Si va dal guerrafondaio al pacifista a seconda del dare o non dare le armi. A mio giudizio facendo l’una o l’altra cosa non si ottiene immediatamente quel risultato. Purtroppo la situazione è molto più complicata perché se non si danno le armi la guerra non finisce subito, ma si andrebbe in ogni caso non verso una pace duratura ma verso una sconfitta ucraina con molti morti con quel che comporta per il resto dell’Europa. Putin non ha mai detto di volersi fermare lì, anzi le sue mire sono ben più ampie e riguardano l’assetto geopolitico che si è creato dal crollo del Muro di Berlino e dalla disfatta dell’Unione Sovietica.
D’altra parte se si continuano a dare le armi all’Ucraina è evidente che certo la si difende ma questa guerra continua. Cosa dovrebbe fare l’Europa?
L’Europa continua a dare le armi proprio perché non ritiene accettabile, date le minacce di Putin, uno scenario possibile la sconfitta dell’Ucraina per tutto quel che comporta. Certo, si dovrebbe fare anche di più dal punto di vista della proposta di un compromesso. Il problema è che non c’è da parte russa ma neppure ucraina una volontà di giungere a un compromesso. Ciascuno dovrebbe perdere qualcosa, la mia impressione è che ci sarà una disponibilità al compromesso solo nel momento in cui entrambe le parti temeranno di perdere. Ma fino a quando una delle due crederà di poter vincere, non sarà disposta al compromesso. Quindi se anche ci mettessimo maggior impegno per la cessazione delle ostilità non troveremmo poi degli interlocutori disposti a seguire quello che chiediamo.
Vista la posta in gioco, non vale la pena tentare lo stesso?
Macron anche nei giorni precedenti all’invasione ha provato in tutti i modi a far desistere Putin, telefonate, incontri virtuali continui ma lui è andato avanti sulla propria strada. C’è una difficoltà anche in Europa nel definire quello che sarebbe il contenuto di una proposta di compromesso. Non possiamo negare che c’è una parte Est dell’Unione Europea con magari una comunanza di visione al fuoriuscito dalla Ue cioé la Gran Bretagna per cui l’obiettivo effettivamente è quello della sconfitta della Russia. E una parte legata più all’Europa occidentale e meridionale che invece vedrebbe anche di buon occhio aprire a dei margini di compromesso. Quindi anche all’interno dell’Unione stessa in realtà ci sono anime diverse sul negoziato che potrebbe portare alla cessazione delle ostilità e su cosa si è disposti a cedere per arrivarci. Questo non aiuta un’offerta di pace unitaria da parte dell’Europa. Ma sempre che questa venisse accettata dalla Russia e dall’Ucraina.
Il pallino in mano chi lo ha?
Non l’Europa, e non a caso. Fino a due settimane fa e cioé prima del terremoto in Turchia era nelle mani di qualcuno che sta fuori dall’Unione e cioé Erdogan, che rimaneva un interlocutore. Ci sono ancora dei contatti fatti dall’Eliseo e in maniera meno importante da Berlino, ma sicuramente non c’è al momento un canale che porti alla cessazione anche per una totale indisponibilità della Russia nel momento in cui la quantità e la qualità degli armamenti forniti dai paesi europei, non ultimi i carri armati, vanno a impattare anche su quel minimo spiraglio di comunicazione che è sempre più affievolito.
D’accordo, ma quale credibilità come interlocutore di pace avrebbe l’Europa che ha inviato miliardi di armi?
Non dimentichiamo che c’è stato questo upgrade europeo ma soprattutto americano e britannico perché la Russia qualche mese fa, prima della controffensiva ucraina aveva occupato una porzione di territorio ucraino grande quasi quanto l’Italia. Se si mette a negoziare in una situazione in cui la Russia controlla un territorio grande come un paese dell’Europa capisce che non è una negoziazione ma una resa, con tutto quello che significherebbe anche per Putin. Se anche in maniera meschina, per paradosso, dicesse “pur di avere la pace e salvare qualche vita diamola vinta a Putin”, ma lui ci ha insegnato che non vuole fermarsi li. Le sue mire non si fermano all’Ucraina, ci sono i Baltici, la Moldavia e tutto l’assetto che si è venuto a creare dopo la dissoluzione dell’Urss. Questo è quello che dice nei suoi discorsi da oltre un decennio. E’ un dato di fondo.
Berlusconi si è espresso in contrasto alla linea atlantica e del governo, questa ambivalenza che va nella direzione della pace?
Che in giro per l’Europa e dentro la Russia ci siano varie persone, gli imprenditori e chi faceva business prima – non dico il caso di Berlusconi che non voglio sapere – e vorrebbero vedere la fine della guerra anche a costo di cedere a Putin non è un mistero. Quello che conta però è la posizione ufficiale del governo, Meloni e il ministro degli Esteri dello stesso partito di Berlusconi hanno chiarito che quando c’è da prendere una decisione, se dare o no le armi, la prende il governo, non una personalità per quanto influente. Qui parliamo di sicurezza.
In assenza di un negoziato serio, quanto andrà avanti la guerra?
Dovrebbe chiederlo a una chiromante più che a un esperto di relazioni internazionali. Consideri febbraio di un anno fa c’erano circa 200mila soldati russi attorno ai confini dell’Ucraina e la maggior parte degli analisti in Italia come all’estero dicevano “non attaccherà mai, non ci sarà mai un’invasione su larga scala” perché sarebbe stato irrazionale da un punto di vista di strategia militare. Tutti dicevano “ma se anche invadesse da tutti i lati come farebbe a conservare un territorio di quelle dimensioni e con quella popolazione”. Putin lo ha fatto, e con perdite anche enormi tra i soldati da parte russa, tra morti e feriti. Eppure l’ha fatto e gli analisti avevano sbagliato perché hanno seguito un razionale che per le sorti della guerra non si vede, per cui io temo un perdurare di questa guerra magari con intensità variabili in diversi momenti, ma a meno che non succeda qualcosa di imprevedibile o che temiamo, non vedo a breve una risoluzione a breve ma il perdurare per molto tempo.
Armi o pace, la contrapposizione sarà in piazza, nei tiggì della sera. Come se ne esce?
Nelle relazioni internazionali vige un principio tipico del realismo politico che distingue tra etica dell’individuo e quella della responsabilità Mi spiego. Il singolo partecipando alle marce pacifiste ha assolutamente diritto e la piena comprensione nel dire che deve essere fatta giustizia e la pace. E’ una richiesta iperlegittima e comprensibilissima, il punto è quando qualcuno di noi ha responsabilità politica e dall’etica della responsabilità. Allora devi capire che ci sono vari tipi di pace. Se la pace arriva dopo una resa non è detto che sia duratura, o porti a qualcosa di meglio. La resa della Germania dopo la prima Guerra Mondiale ha gettato le fondamenta per la Seconda.