Musica

Bello e tanto: quanta roba, Donizetti! La storia del genio bergamasco che ha vinto la sfida col tempo (e con la lunga ombra di Verdi)

In libreria, con Il Saggiatore, la biografia completa del compositore di Lucia di Lammermoor e Anna Bolena firmata dal musicologo Luca Zoppelli. Il volume mette in fila i motivi della riscoperta critica - dopo la morte - di un autore vissuto tra due giganti della musica come Rossini e l'operista di Busseto. Insomma: altro che "Dozzinetti"!

di Giuseppina La Face

Più giovane di Rossini, più anziano di Verdi, il bergamasco Gaetano Donizetti (1797-1848) è stato spesso tenuto in penombra, considerato un epigono del primo e un precursore dell’altro. A fine Ottocento, dei suoi settanta e passa lavori operistici, ne rimanevano quattro in cartellone. Un motivo c’era. Colleghi, amici, critici ritenevano che Dozzinetti componesse sì bella musica, ma ne scrivesse troppa e troppo in fretta: da qui un sospetto di superficialità. Al confronto, Vincenzo Bellini, autore lento, assumeva l’immagine dell’artista serio e ponderato, e Verdi quella di un autore dai ferrei intendimenti estetici e teatrali, fermissimo nell’imporli a tutti i collaboratori. Il cliché della corrività emerge perfino nelle parole di un cervello fino, il giovane critico Eduard Hanslick: nel necrologio pubblicato nella Wiener Zeitung sentenziò che Donizetti “avrebbe potuto scrivere cinque opere buone, se non ne avesse scritte cinquanta mediocri”.

Un’altra ragione gioca a svantaggio del musicista: la sua opera matura si sovrappone per vari tratti – drammaturgia, tematiche, scrittura vocale – al Verdi degli anni Quaranta, che in una certa misura gli ruba la scena. Solo dal 1948, dal centenario della morte, ha preso avvio una graduale ma sempre più robusta Donizetti-Renaissance che ha rimesso in circolo quasi tutta la sua abbondante produzione, a cominciare dalle opere che – come Lucia di Lammermoor, Anna Bolena, Maria Stuarda – esaltano il ruolo di una “prima donna” vertiginosamente sospesa tra il fulgore vocale e l’atrocità del destino drammatico.

Queste cose e molte altre illustra Luca Zoppelli, musicologo brillante ed esperto, emerito dell’Università di Friburgo. Il suo recente Donizetti (Il Saggiatore, 584 pagg, 38 euro), scritto con passione e rivolto ai melomani oltre che agli intenditori, restituisce la ricca fisionomia del musicista unitamente alla storia della sua fortuna. Ormai è acclarato: Donizetti è stato un grande, ha scritto capolavori eccelsi, melodrammi nei quali si scatenano sentimenti veementi, dolore e tenerezza, gioia incontenibile e nostalgia struggente. Zoppelli svela i processi estetici e culturali che hanno favorito la riscoperta critica del compositore. Tramontata la visione dell’artista come eroe solitario che affida il processo creativo alla sola ispirazione, si staglia il profilo del musicista-professionista che manovra con destrezza un sistema di produzione complesso e tiene in conto la sensibilità del pubblico. L’opera d’arte non è vista più come testo unico e intangibile, scaturito da un’idea soggettiva, bensì come prodotto di una “migrazione e riproposizione di idee, topoi, riferimenti, citazioni da un testo all’altro”: si apprezzano perciò anche le ricombinazioni di materiali già presentati in altri contesti. Di pari passo è stato rivalutato il rango del libretto come fattore costitutivo nella costruzione del dramma; la “librettologia” è anzi diventata una disciplina in piena regola, indispensabile alla comprensione del teatro in musica. La teoria della recezione ha insegnato infine che il giudizio su un’opera è in funzione di contesti socio-culturali e di orizzonti d’attesa cangianti.

Zoppelli non trascura la biografia: l’infanzia vissuta in una famiglia povera; i primi studi nelle Lezioni caritatevoli di Giovanni Simone Mayr, che sempre lo sostenne; lo studio a Bologna; i ritmi di lavoro massacranti, nei teatri di Napoli, Roma, Milano, Parigi, Vienna, una sequela di successi con qualche smacco; i rapporti con gli impresari e i librettistiFelice Romani in primis, e tanti altri meno noti ma più malleabili –; la malattia, il ritorno definitivo a Bergamo e la morte.

Insiste poi sul mestiere dell’operista. I soggetti, ricavati da autori d’oltralpe, come Hugo, Schiller, Byron, Scott, sono veri e propri “oggetti drammatici di riferimento”, che sospingono la drammaturgia del libretto verso il “teatro di parola contemporaneo”. Gaetano, del resto, sa cosa vuole, quale argomento attrae sia lui sia il pubblico; e sa anche come esigerlo, in uno stile epistolare nervoso e sapido. Nel 1835, a un impresario che per un’opera nuova gli vuole rifilare un libretto rabberciato, scrive: “Ricordati che io dovea avere il libretto nuovo e non aggiustato, che se non sarà di mia piena simpatia tel rimando. Voglio amore, che senza questo i soggetti sono freddi, e amor violento”.

Di ciascuna opera, sia essa arcifamosa come il Don Pasquale o desueta come Maria de Rudenz, Zoppelli sintetizza l’impianto drammatico, i caratteri musicali, gli interpreti, il contesto intellettuale, e il genere di appartenenza: opera buffa, opera semiseria, melodramma romantico, opéra-comique o grand opéra francese. Con maestria coglie e descrive il nucleo concettuale dell’azione, in un linguaggio diretto che accattiva il lettore. Il quadro complessivo è esauriente e plastico, la prospettiva ampia e ben spartita, i riferimenti letterari, estetici, filosofici copiosi e illuminanti. Leggere questo bel libro aiuterà chiunque a meglio comprendere ed amare l’arte di un operista sopraffino.

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Nella foto in alto – Dettaglio del Monumento a Donizetti, progettato da Francesco Jerace, che si trova in piazza Gavazzeni, di fronte al teatro lirico di Bergamo

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