Oltre al prelato, rischiano il processo anche un ex consulente dei magistrati, due dirigenti Ilva, un giornalista e l’impiegata di un’area di servizio. Il pubblico ministero Mariano Buccoliero notificato l'atto a tutti quei testimoni che secondo la Corte d’Assise – che ha emesso condanne pesantissime nei confronti dei Riva e di altri venti imputati – hanno mentito oppure non hanno voluto raccontare tutta la verità
C’è anche l’ex vescovo di Taranto, monsignor Benigno Papa, tra i sei presunti falsi testimoni a cui la Procura di Taranto ha notificato un avviso di conclusione indagini con l’accusa di aver mentito ai pm o in aula durante il procedimento “Ambiente svenduto” sulle emissioni nocive dell’ex Ilva negli anni della gestione Riva. Oltre al prelato, rischiano il processo anche un ex consulente dei magistrati, due dirigenti Ilva, un giornalista e l’impiegata di un’area di servizio. Il pubblico ministero Mariano Buccoliero ha infatti notificato l’atto a tutti quei testimoni che secondo la Corte d’Assise – che ha emesso condanne pesantissime nei confronti dei Riva e di altri venti imputati – hanno mentito oppure non hanno voluto raccontare tutta la verità.
Nell’elenco spicca il nome di Vito Balice, chimico industriale ed ex consulente della Procura per un’indagine del 2009: secondo i giudici “ha reso una testimonianza falsa” poiché in aula avrebbe fornito informazioni differenti da quelle che invece aveva indicato nella sua relazione. Nel documento consegnato all’epoca alla Procura che indagava sulle emissioni di polveri, infatti, Balice aveva scritto che quelle raccolte nei deposimetri erano “compatibili con quelle depositate presso i parchi minerali Ilva” mentre durante il suo esame in aula le aveva attribuite alla “Cementir”, cementificio oggi fermo a pochi metri dalla fabbrica. Un dietrofront che per l’ex consulente era frutto di un ripensamento, ma che poco dopo ha nuovamente ritrattato: interrogato da uno degli avvocati di parte civile, infatti, negava di aver mai tirato in ballo il cementificio, sostenendo di aver fatto solo un esempio. Per la Corte d’Assise, però, le cose stanno in maniera diversa: “Balice non solo è un teste falso”, scrivono i giudici, ma “un consulente “avvicinato” da Ilva nella persona di Girolamo Archinà”, l’ex dirigente condannato a 21 anni di carcere perché ritenuto la “longa manus” dei Riva nella costruzione di una rete di protezione intorno alla fabbrica. “Dalle intercettazioni è emerso chiaramente come Balice si sentisse frequentemente con Archinà e frequentasse con regolarità lo stabilimento”, hanno riportato nella sentenza.
Tra gli indagati per la false dichiarazioni, come detto, c’è anche l’ex vescovo di Taranto Papa, ritenuto inattendibile per la versione fornita a proposito della donazione di diecimila euro fatta da Archinà nel 2010, che invece per i magistrati era una mazzetta versata a un altro ex consulente della Procura, Lorenzo Liberti, condannato a 15 anni e sei mesi. La testimonianza resa dal prelato è stata considerata costellata da lacune, contraddizioni, incertezze e incongruenze: “La falsità della ricostruzione di monsignor Papa è stata già stigmatizzata” nella sentenza definitiva con cui la Corte d’appello di Taranto ha assolto con formula piena il sacerdote Marco Gerardo, condannato in primo grado proprio per le dichiarazioni rese da Papa, ricordano i giudici d’Assise. Accusati di falsa testimonianza anche due ex dirigenti Ilva (Ivan Dimaggio e Angelo Lalinga), l’impiegata della stazione di servizio dove avvenne secondo l’accusa la consegna del denaro tra Archinà e Liberti e infine il giornalista Pierangelo Putzolu che in aula ha negato di conoscere la reale identità di “Angelo Battista”, fantomatico esperto che pubblicava note sulle questioni ambientali, ma che altri non era che Archinà, interessato a divulgare “propaganda in favore di Ilva”. Gli indagati e i loro difensori hanno ora venti giorni di tempo per chiedere di essere interrogati o presentare memorie fornendo la propria versione dei fatti. Poi toccherà al pm Buccoliero decidere se archiviare le accuse oppure chiedere il rinvio a giudizio.