Più flessibilità entro certo limiti e fermo restando un punto intoccabile: la scadenza del 2026. L’Ue, a due anni dalla sua entrata in vigore, avvia la fase due del Next Generation Ue partendo dal programma RePower, adottato in via definitiva dal Consiglio Affari Generali riunito a Bruxelles. Il capitolo aggiuntivo che ogni governo è chiamato ad inserire entro il 30 aprile nel suo Pnrr porterà più fondi e darà l’occasione per una revisione dei progetti, sebbene entro i paletti stabiliti dall’Europa.
Fonti qualificate che gestiscono il dossier Recovery hanno parlato di “buon senso” nel quantificare i margini di flessibilità che potranno essere concessi. Trasferire un progetto dal Pnrr alla programmazione 2021-2027 della politica di Coesione – un pallino del ministro Raffaele Fitto – è possibile se ci sono impedimenti oggettivi (inflazione, o carenza di materie prime) che non consentono di rispettare il cronoprogramma del Piano. A quel punto i fondi destinati al progetto cancellato possono essere reindirizzati, sempre nell’ambito del Pnrr. Ma in generale “Gli Stati membri devono applicare le scadenze che si sono impegnati a rispettare nei loro piani”, ha sottolineato l’esecutivo europeo nella comunicazione approvata per fare il punto sul Recovery, nella quale viene ricordato come finora siano stati erogati 144 miliardi di euro, 96 di sovvenzioni e 48 di prestiti.
L’Ue ha confermato che sono venti i miliardi di nuove sovvenzioni previsti, 2,7 dei quali andranno all’Italia. Che resta al primo posto per assegnazioni, con l’ingresso del parametro della dipendenza energetica dalla Russia, questa volta è affiancata dalla Polonia. Alle nuove sovvenzioni vanno aggiunti 5,4 miliardi che saranno trasferiti dalla Riserva di adeguamento della Brexit e una quota dei fondi di Coesione non spesi nel settennato 2014-20 pari a 17,9 miliardi.
Ci sono poi 225 miliardi di prestiti che l’Ue non ha erogato con il Next Generation. Chi non ha utilizzato l’intera quota che gli spettava ha tempo fino a fine marzo per inoltrare la richiesta alla Commissione. La Spagna già lo ha fatto riducendo il tesoretto di prestiti a 141 miliardi. L’Italia, che ha usato tutta la sua quota, potrà farlo solo dopo aver atteso le richieste degli altri membri.
Il tema, ha sottolineato un alto funzionario europeo, è capire se a Paesi come l’Italia servano nuovi prestiti laddove è certamente “più importante” spendere bene e in tempo i soldi che si hanno. E l’Italia, su questo punto, un problema lo ha. Entro l’anno dovrà infatti certificare all’Ue l’impiego di venti miliardi ancora non spesi per il programma di Coesione 2014-2020. Il confronto tra l’Ue e Roma è serrato anche perché il governo è chiamato a soddisfare la richiesta di chiarimenti giunta da Bruxelles su alcuni aspetti del Pnrr. Nel frattempo, al Consiglio Affari Generali, il ministro per gli Affari Ue, la Coesione e il Pnrr Raffaele Fitto ha ribadito che “l’obiettivo è definire un programma che effettivamente abbia dei progetti realizzabili entro il 2026”.