di Leonardo Botta

Domenica parteciperò alle primarie per eleggere il/la nuovo/a segretario/a del Partito Democratico. E voterò per Elly Schlein.

Lo riconosco, il percorso mentale che mi ha condotto a questa scelta è stato alquanto cervellotico, come potrete verificare leggendo le motivazioni che riporto di seguito. Seguo da un po’ Stefano Bonaccini, dai tempi del suo dualismo emiliano con Matteo Richetti, prima di approdare alla guida dell’Emilia Romagna. E trovo sia un amministratore bravo, anche se un po’ troppo autoreferenziale. Trovo Bonaccini bravo al punto da essere stato convinto che, dopo Nicola Zingaretti, la leadership del partito sarebbe passata a lui, prima che le inaspettate dimissioni dello stesso Zingaretti spianassero la strada a Enrico Letta, in quell’occasione senza passare per le primarie (per la verità ho una mia chiave di lettura. Fino a un annetto fa, Bonaccini era considerato, da buona parte del partito, un po’ troppo “renziano” e, come noto, al Nazareno ancora non hanno completamente elaborato il lutto per la “dipartita” di Renzi).

Fino a qualche mese fa avrei dunque sostenuto Bonaccini, nella convinzione che il meglio che si potesse chiedere al Pd (o a ciò che di esso resta) fosse un leader che dettasse una linea politica d’impronta tipicamente laburista, probabilmente la meno indigesta per un paese in buona parte conservatore (a giudicare dai fasti che sta vivendo il centrodestra a guida Meloni). Ora ho cambiato idea. Secondo me il Pd, oggi, è come quel malato giacente sul letto di un pronto soccorso, colto da infarto: non gli puoi somministrare un’aspirina, occorre il defibrillatore. Che piaccia o no, oggi più che mai gli elettori (almeno quei pochi irriducibili che sono rimasti a frequentare le urne) chiedono suggestioni: dopo quelle pseudo-liberali e goderecce berlusconiane, rottamatrici di Renzi e identitarie di Salvini, è toccato alla Giorgia nazionale stregare gli italiani al grido di “sono una donna, sono italiana, sono cristiana”.

Ebbene, Bonaccini una narrazione che intrighi l’elettorato di centrosinistra forse non riuscirebbe a fornirla; Schlein può darsi di sì. Forse Elly può scaldare il cuore di un popolo nel quale da tempo è calato il gelo; può affascinare gli elettori, magari come accadde con Nichi Vendola quando, miracolosamente, riuscì a strappare la regione Puglia al potente governatore Raffaele Fitto. E lo fece con un racconto forbito e un po’ “supercazzolato” che tanto piacque ai pugliesi, che somiglia a quello della Schlein.

Naturalmente, questa non è l’unica motivazione che ho sviluppato a giustificazione della mia scelta:

1. Le primarie le vincerà probabilmente Bonaccini, ma un risultato lusinghiero della componente (sto facendo uno sforzo per non chiamarla “corrente”) di Elly spero aiuti a tenere compatto il partito, evitando altre scissioni come quelle bersanian-dalemiane ai tempi di Renzi (allora la stessa Schlein uscì dal partito commettendo secondo me un errore che qualcuno ora legittimamente le rinfaccia), o calendian-renziane durante la segreteria Zingaretti (scindi oggi, scindi domani, non vorrei che tra un po’ si arrivasse all’atomo!);

2. Con l’area liberal-democratica di Azione-ItaliaViva dal consenso potenziale a due cifre è forse strategicamente preferibile che il Pd marchi vistosamente la sua vocazione social-democratica (diciamolo con un bel sinonimo: “di sinistra!”) vista anche la debolezza e lo scarso appeal del tandem Sinistra Italiana-Verdi (nonché dei due leader, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, non propriamente dei trascinatori di folle e ancora impegnati a rimproverare, con l’espressione da “Urlo di Munch”, Soumahoro: “tu quoque?”);

3. Infine, una donna giovanissima alla guida del maggior partito della sinistra italiana (per la prima volta nella storia e nel suo momento peggiore) sarebbe in ogni caso una buona notizia.

Ci sarà tempo, poi, per ragionare di “piattaforme programmatiche” e di complicate alleanze con il Terzo Polo, con il Movimento 5 Stelle o (ai miracoli ci voglio credere) con entrambi. Orsù, ai gazebo!

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