Sono consapevole di addentrarmi in un argomento che è un ginepraio per implicazioni etiche, religiose, culturali ed emozioni profonde (inconsce) ancestrali. Lo faccio perché ritengo che qualcuno che abbia un minimo di esperienza in questo settore debba far sentire la sua opinione (che non vuole essere definitiva) rispetto all’argomento delicato della cosiddetta disforia di genere.
Faccio due premesse.
La prima riguarda il mondo scientifico. In questo contesto non tutto ciò che viene teorizzato è sicuro e scontato. Ad esempio la teoria per cui sia possibile la fusione nucleare controllata è ampiamente diffusa anche se controversa e, al momento, non si è riusciti a ottenerla in modo continuativo e adeguato all’uso umano. Anche in campo psicologico esistono teorie ampiamente accettate, ma non certe. Per quanto concerne la “disforia di genere” esistono dottrine molto controverse, altamente discusse e certamente nessuno può affermare che su questo argomento vi siano certezze. L’espressione disforia di genere è stata coniata nel 1971 da due ricercatori che non condividevano la precedente “incongruenza di genere”, ritenuta discriminatoria. Si tratta di una definizione ambigua e a mio avviso scorretta, in quanto disforia vorrebbe dire alternanza di fasi dell’umore – dal depressivo all’euforico.
Non capisco cosa questo termine, disforia, c’entri con la sofferenza di chi non si riconosce nel proprio corpo. Non si tratta di un modo di essere costante nel suo determinarsi, ma piuttosto di casi sporadici, tutti diversi fra loro, con caratteristiche che difficilmente portano a un’unica modalità di presentarsi e sentire se stessi. La ricerca forse nei prossimi decenni ci fornirà lumi che al momento non esistono.
La seconda premessa riguarda la mia esperienza personale. In 40 anni di lavoro ho avuto in cura tre pazienti che stavano attuando o avevano completato la loro transizione: due donne che geneticamente e anatomicamente erano nate maschi e un uomo originariamente di sesso femminile. In questi casi ci troviamo di fronte a un processo psicologico difficile e complesso che provoca, inevitabilmente, sofferenza nell’individuo e nella sua famiglia. Gli interventi sia ormonali che chirurgici sono molto rilevanti con conseguenze non sempre completamente prevedibili. La donna che vuole liberarsi del corpo di maschio dovrà assumere estrogeni per tutta la vita, oltre a procedere con la costruzione del seno e, nel caso in cui voglia arrivare al cambio del sesso, con l’asportazione dell’organo sessuale maschile e la creazione di una vagina artificiale.
L’uomo che viceversa vorrà liberarsi del corpo femminile avrà una situazione più complessa: dovrà assumere testosterone e, nel caso di cambio di sesso, occorre togliere una porzione di muscolo da un arto per costruire un pene con una protesi artificiale. Di solito le persone devono sottoporsi a diversi interventi chirurgici con importanti sofferenze nel corso di alcuni anni. Insomma non è una passeggiata, ma un percorso molto accidentato e cosparso di difficoltà. L’uso di ormoni artificiali non è uguale alla produzione autoctona da parte del corpo, perché il dosaggio e la modalità di assunzione provocano picchi e cali che non riescono a mimare la produzione bilanciata della ghiandola.
Proprio perché le implicazioni mediche sono rilevanti, basti pensare ai rischi connessi all’uso per tutta la vita di ormoni artificialmente somministrati, la decisione sul da farsi deve essere supportata e ponderata assieme a una équipe di medici che funga da supporto. Occorre rifuggire la spettacolarizzazione e l’uso strumentale a fini politici, religiosi o ideologici, per permettere al singolo una decisione che immancabilmente sarà travagliata, ma potrà portare a stare finalmente bene col proprio corpo.
Non conosco nei dettagli giuridici la legge promulgata in Spagna, per cui faccio considerazioni basandomi su ciò che riportano i giornali. L’aspetto innovativo è permettere a un sedicenne, senza il consenso dei genitori, di definire se stesso da un punto di vista sessuale e, eventualmente, intraprendere un percorso psicologico e medico relativo alla transizione di genere. Da un lato si tratta di un progetto libertario che riconosce diritti fino a quel momento negati; dall’altro, però, i legislatori pongono un adolescente nella possibilità di compiere atti che possono avere conseguenze importanti, irreversibili sul proprio corpo.
Un 16enne in piena adolescenza, età caratterizzata da conflitti e confusione interiore, potrebbe essere succube di sollecitazioni effimere del momento ed esporsi a gravi rischi. Non so come la legge possa essere formulata, visto che occorre da un lato guardare ai diritti e dall’altro alle possibili conseguenze negative. Soprattutto, a mio avviso, occorre tenere presente che siamo di fronte a una nebulosa non ben definita da un punto di vista scientifico. Ad esempio molti ragazzi e ragazze si sentono diversi dal loro sesso anatomico, ma non si sottoporrebbero mai ad interventi chirurgici o a cure ormonali. Ho conosciuto, sempre nella mia attività medica, alcune persone che avevano rigettato ogni procedimento medico per modificare il proprio corpo.
In base alla mia limitata esperienza ritengo che sia assolutamente giusto aiutare con terapie ormonali e interventi chirurgici chi si trova a vivere in un corpo che non sente sintonico con quello che prova. A questo punto mi pongo però l’interrogativo: un sedicenne è in grado di prendere una decisione che ha conseguenze così rilevanti sulla sua vita? Inoltre, può questa strada essere intrapresa senza un percorso psicologico, lungo alcuni anni, in cui cercare di capire se stesso una volta superata l’età adolescenziale?