Questo attaccante figlio di genitori emigrati dalla Tanzania non è destinato a rimanere una dei tanti, ricordato solo dai tifosi di stretta osservanza, visto che il governo norvegese lo ha scelto quale esempio di quelle storie di riscatto sociale che spesso il calcio racconta. Un'investitura ufficiale che si è concretizzata attraverso un massiccio acquisto di copie della sua autobiografia da parte del Consiglio della Cultura norvegese
A volte piccolo significa grande. Anche nel calcio degli Haaland, dei Mbappé e dei Lewandowski. Nomi in mezzo ai quali si ritrova Amahl Pellegrino, guardandoli quasi tutti dall’alto (il norvegese del Manchester City è l’unica eccezione) nell’attuale classifica della Scarpa d’Oro 2022-2023. Ogni anno questa graduatoria presenta degli “intrusi” da calcio minore, destinati poi a scalare posizioni una volta che i campionati top si avviano alla conclusione, forti di un coefficiente maggiore rispetto a quello delle altre leghe. Pellegrino ha segnato 25 gol ma è destinato a venire superato da altri attaccanti di Premier, Liga, Bundesliga, Serie A e Ligue 1, che possono contare su un moltiplicatore maggiore (2 anziché 1,5) rispetto a quello assegnato Tippeliga norvegese. Ed è anche giusto così, perché un gol non può avere lo stesso peso in tutti i tornei.
Quella di Pellegrino rimane però una grande storia, anche se a 32 anni di età il Bodø/Glimt, la sua attuale squadra, rappresenta l’apice raggiunto nella sua carriera. Ma questo attaccante figlio di genitori emigrati dalla Tanzania non è destinato a rimanere una dei tanti, ricordato solo dai tifosi di stretta osservanza, visto che il governo norvegese lo ha scelto quale esempio di quelle storie di riscatto sociale che spesso il calcio racconta. Un’investitura ufficiale che si è concretizzata attraverso un massiccio acquisto di copie della sua autobiografia da parte del Consiglio della Cultura norvegese, da destinare a tutte le biblioteche dello Stato. Il titolo del volume è Fotballproff mot alle odds, ovvero calciatore professionista contro ogni previsione. Lungo i 27 capitoli del libro si parla di povertà, di razzismo, di malattie e di perdite, tutti drammi combattuti con un sola arma a disposizione: il calcio.
La storia di Pellegrino inizia a Hedensrud, sobborgo della cittadina di Drammen, uno di quei luoghi che, se guardati con occhio turistico, contiene tutti gli elementi tipici per innamorarsi del Nord. Drammen però è una delle città più povere dell’intera Norvegia, ed è quindi facile immaginare quale possa essere il tenore di vita nei suoi quartieri popolari. L’infanzia di Pellegrino si snoda quasi esclusivamente lungo il tragitto dell’autobus che separa la scuola, frequentata con scarso interesse e identico profitto, dall’appartamento sempre con le imposte abbassate dove vive con la madre e i tre fratelli. Il motivo di questa “clausura” domestica deriva dal terrore della madre di essere individuata dai servizi sociali e vedersi quindi portare via i propri figli. Perché tocca a lei, da sola, mandare avanti la famiglia, prima come addetta alle pulizie e poi, quando la schiena non ha più retto, come cameriera. In più parla poco e male il norvegese, di conseguenza anche gli aiuti scarseggaino.
Amhal Pellegrino lascia l’appartamento nel pomeriggio per andare al campo di calcio, ma solo per guardare la squadra locale allenarsi. In casa i soldi bastano appena per tirare avanti, e non sono sufficienti per acquistare né scarpini né una tenuta da calcio. In più, per la questione dei servizi sociali, non è pensabile nemmeno fare domanda per ricevere un contributo statale. Il campo di allenamento di Pellegrino è la fermata dell’autobus, dove con il fratello minore si allena ripetendo i movimenti visti al campo. Il pallone è il suo unico interesse e questo lo rende immune, una volta entrato nell’adolescenza, dalle tentazioni criminali e di guadagno facile che spopolano tra molti suoi coetanei, con lui ogni giorno sul bus. Ma è proprio all’interno della comunità locale che a Pellegrino viene concessa una chance, nella persona di Helle Fretheim, madre di un suo amico, che se lo prende in carico durante le trasferte. Viaggi in auto durante i quali Pellegrino deve convivere con i commenti razzisti di molti adulti. Ma c’era Helle e a lui bastava quello.
Alla sua prima esperienza calcistica, con un piccolo club chiamato Åskollen, Pellegrino incontra il padre che non aveva mai avuto. Si chiama Ronny Lian e allena la selezione giovanile, crede in lui come giocatore – alto, magro, dinoccolato, segna abbastanza ma per molti è troppo lento – ma soprattutto diventa un suo punto di riferimento fuori dal campo. In quarta divisione Pellegrino riesce a farsi notare ma, come ha scritto lui stesso nel libro, si tratta pur sempre della quarta divisione norvegese. E anche quando sale di livello, trovarsi a giocare di fronte a 500 spettatori non è propriamente il sogno di chi aspira a diventare un calciatore. In più, Pellegrino si ammala. Dopo una serie di lutti ravvicinati, tra cui proprio quello di Lian, il ragazzo diventa insonne. Le sue condizioni, fisiche e psicologiche, gli fanno ipotizzare di abbandonare il pallone, perché dormire due ore a notte per lui è già un successo, e sarà così per anni. Ma dopo la prima fase di scoramento, Pellegrino si rigetta a capofitto nella sua passione. Le ore da sveglio le trascorre ad allenarsi. Al buio, spesso da solo. A vent’anni decide di non concedersi più nemmeno una bevuta con gli amici alla sera. Ma ce ne vogliono altri quattro prima che possa arrivare a debuttare nella Tippeliga, la massima divisione norvegese, e cinque prima che segni il suo primo gol in campionato.
La storia di Pellegrino non è mai stata una linea retta e anche il suo approdo nel professionismo conferma un trend ascendente lento e faticoso. Gioca poco nel Lillestrøm, impressiona solo in B nel Mjøndalen e nemmeno il ritorno a casa allo Strømsgodset, club proprio della città di Drammen, gli tolgono di dosso l’etichetta di attaccante di categoria, per il quale la Tippeliga è già un lusso. Fino a quando, a 30 anni, percorre quello scenario mozzafiato chiamato Strada Atlantica e approda a Kristiansund, dove in 39 partite di campionato segna 33 gol. Così, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ma a trent’anni suonati l’attaccante è consapevole che non ci sarà la fila fuori dalla sua porta sul mercato, così accetta un trasferimento in Arabia Saudita per mantenere una vecchia promessa: comprare una casa alla madre. Meno sette mesi sono sufficienti, poi ai petrodollari Pellegrino sostituisce nuovamente le corone norvegesi e firma con il Bodø/Glimt.
Si è parlato tanto negli ultimi due anni del Bodø/Glimt, prima squadra del Circolo Polare Artico a diventare campione nazionale, ma soprattutto brillante sia sotto il profilo del gioco sia per quanto riguarda le esperienze europee, fatte ovviamente le debite proporzioni con il valore economico della Tippeliga norvegese. Con il Bodø/Glimt Pellegrino ha segnato complessivamente 42 gol in 70 partite, festeggiano un titolo nazionale e vincendo, nel 2022 appunto, la classifica marcatori. La sua prima rete europea è arrivata a 32 anni, nel settembre 2021 contro lo Zorya in Conference League, campagna che lo ha visto timbrare il cartellino anche contro Roma (nel famoso 6-1 della fase a gironi), Celtic Glasgow e Az Alkmaar. Quest’anno è invece stato fortemente simbolico per il calcio norvegese l’incrocio in Europa League con l’Arsenal di Martin Ødegaard, che proprio dalla città di Pellegrino, Drammen, ha iniziato la propria carriera. Un enfant prodige contro un “potenziale criminale” diventato uno degli attaccanti più efficaci d’Europa. Le due facce del calcio.